July 2013

Chi vive nella "bolla"

Pagine di giornaliIn vacanza, dovunque si vada in Italia, si può verificare quanto la ricezione dei segnali dati telefonici sia cattiva (ma i gestori fanno i furbetti) e lo stesso vale per sistemi wi-fi non sempre dignitosi. Questo obbliga a mettere, troppo spesso, da parte telefoni e tablet con le versioni on line dei giornali e a prendere due piccioni con una fava: godermi la versione cartacea dei quotidiani e scoprirne tutti i limiti.
Il giornale è per la mia generazione un piacere fisico, specie se goduto in santa pace e si ritrova qualcosa di antico nello sfogliarlo da cima a fondo. Ricordo quando, nelle pause dei lavori parlamentari a Montecitorio, andavo nella sala di lettura, dove - opportunamente posti su una stecca, che ne evitasse il furto - figuravano i giornali nazionali e quelli regionali, spesso mai visti prima, che davano il senso di un'informazione distribuita come una ragnatela in tutta Italia.
Ma sembra passato un secolo da allora e la crisi sta strangolando l'editoria e le note sono dolenti. I dati delle vendite di giornali mostrano una crisi profonda ancora negli scorsi mesi e, l'altra gamba, la raccolta della pubblicità cala paurosamente. Una stretta mortale, che rischia di strangolare il settore e di cambiare lo scenario naturalmente non solo per gli editori, ma anche per i giornalisti della carta stampata, ormai votati al multimediale, che si trovano con un mestiere che che cambia.
Perché la gente non legge? Cominciamo dalla vecchia carta, che non corrisponde più alle esigenze, malgrado tutta la retorica che si può fare. Le versioni digitali non sono ancora e neppure un'alternativa per la complessità del prodotto e i risultati modesti nella lettura. E in più, smanettando su Internet trovi da qualche parte gratis - penso ai Tweet che sono sintetici, ma esaustivi - quel che vorrebbero farti pagare. E sin qui si potrebbe essere ottimisti: spunterà di certo qualche metodo per mettere assieme il vecchio e il nuovo.
Ma molti non leggono per una scelta simile a quella dell'astensionismo alle elezioni e cioè per una decisione consapevole. Tolto appunto chi legge sulla Rete, ci sono quelli che si accontentano di radio e televisione e oggi dei social media, ma poi c'è chi - e più mi interessa - sceglie il nulla.
Il nulla esiste e ho parecchi casi noti. Sono persone che decidono di vivere in una "bolla", che hanno staccato la spina con informazioni essenziali per far parte di un consesso civile.
Temo aumentino e la loro scelta mi fa trasalire.

Giovanni Paolo II verso la santità

Giovanni Paolo II durante il suo ultimo soggiorno in Valle d'AostaChi sbandiera la fede in politica, con ostentazione sospetta magari rispetto al suo vero animo o ai suoi comportamenti, non gode della mia considerazione. Non discuto chi, per convinzione, si fa portavoce di certi valori cattolici - che sono nella tradizione profonda della comunità valdostana - ma chi gioca con etichette e con atteggiamenti tra l'esibizione e la propaganda non mi piace, anche se ognuno resta libero di fare quel che vuole.
La fede, quella vera, è una grazia e mi ha colpito molto il fatto di avere avuto la fortuna nella mia vita di incontrare Giovanni Paolo II. Beatificato il primo maggio del 2011, Karol Wojtyla, il Papa polacco amico della Valle d'Aosta, sarà - la notizia è fresca - proclamato santo a tempo di record. I giornali dicono che la data possibile per la proclamazione potrebbe essere l'8 dicembre, Festa dell'Immacolata, ed era ben nota la devozione di Wojtyla per la Madonna. Il suo motto, "Totus tuus", lo aveva scelto proprio come sottolineatura di questo legame. Mi venne raccontato come restò sorpreso della forte devozione mariana sulle Alpi, compresa quella Madonna Nera, del tutto uguale alla Vergine Nera di Częstochowa, cui Giovanni Paolo II era devoto, vista la vicinanza con la "sua" Cracovia. Città che ho visitato più di una volta, in parte sulle tracce del Santo Padre.
Ricordo cosa disse Giovanni Paolo II sul Mont Chétif a Courmayeur, domenica 7 settembre 1986, in occasione della prima visita in Valle: «Rinnovo questo appello alla vigilia del giorno in cui la Chiesa festeggia la Natività della Vergine santissima. Maria è la madre dell'umanità redenta, perché è la madre di Cristo, il Redentore. Nessuno più della madre è in grado di favorire la reciproca comprensione e l'intima coesione tra i componenti della famiglia. E l'Europa è una famiglia di popoli, legati fra loro dai vincoli di una comune ascendenza religiosa. A Maria rivolgo pertanto la mia preghiera perché voglia guardare con occhio di materna benevolenza all'Europa, a questo continente costellato di innumerevoli santuari a lei dedicati. Possa la sua intercessione ottenere agli europei di oggi il senso vivo di quegli indistruttibili valori, che imposero l'Europa di ieri all'ammirazione del mondo, promuovendone l'avanzamento verso traguardi prestigiosi di cultura e di benessere».
Un Papa Santo, che ha detto cose importanti dall'alto delle nostre montagne - ad esempio, come nel caso, sull'europeismo in un ragionamento più vasto in quell'intervento - e questa ormai è Storia. Ricordo che proprio quel giorno, nel pomeriggio, il Pontefice salì in elicottero per camminare sotto la cima del Monte Bianco, poco prima evocato, con la guida Franco Garda che seguiva i suoi passi sul ghiacciaio, piuttosto "aperto" in quella stagione, con la paura che un crepaccio lo inghiottisse!

Le estati volano...

Uno schema del solstizio d'estateSull'estate - stagione di vacanza e riposo per eccellenza - bisogna intendersi. La prima fregatura, su cui bisognerebbe riflettere è che, quando inizia con il solstizio (quest'anno alle ore 5.04 del 21 giugno), è già avviato l'accorciamento delle giornate.
Scrive "3B Meteo": "Nonostante il 21 Giugno sia ufficialmente iniziata l'estate, periodo per antonomasia di vacanza, bella stagione e clima caldo, almeno alle nostre latitudini, purtroppo essa non coincide con la stagione in cui le giornata sono più lunghe. (...) Già dai prossimi giorni la durata del giorno, intesa come l'arco di tempo che intercorre tra il momento in cui l'arto superiore del disco del sole sopra l'orizzonte appare durante l'alba al momento in cui scompare sotto l'orizzonte durante il tramonto, subirà una progressiva diminuzione.
Nel contempo andranno riducendosi anche le ore di crepuscolo, ossia il periodo di luce che persiste anche quando il sole è sotto l'orizzonte, passando dalle 1,46 di questi giorni (riferita a 45° N) alle 1,16 dell'equinozio d'autunno"
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Insomma: una fregatura. Come osservava Charlie Brown, personaggio di Charles M. Schulz negli straordinari "Peanuts": «le estati volano sempre... gli inverni camminano!».
A conferma della battuta, quando inizia il periodo delle ferie per definizione, le lunghe giornate vanno già a ridursi e ad agosto - mese delle villeggiature italiche per antonomasia - siamo già in ristrettezza di ore di chiaro.
Ma la più grande fregatura, qui da noi, è stato il succedersi di una primavera con maltempo, cui è succeduta sino ad ora un'estate zoppicante. Certo, senza fare del meteo un'ossessione, vale anche il contrario: inutile far finta che questo non giochi in negativo su un turismo estivo in montagna che è distante un abisso dagli anni d'oro. Se il tempo è brutto, questo vale equamente per montagna e per il mare, ogni attività all'aria aperta risulta difficilmente sostituibile da attività al chiuso ed esiste un effetto depressivo che credo tutti noi abbiamo vissuto sulla nostra pelle come turisti privati del proverbiale solleone.
Insomma, visto che alla fine le previsioni di lungo periodo sono scientificamente poco probanti, confidiamo in un colpi d'ala dell'estate nella nostra zona alpina, vittima fino adesso di questi "stop and go", che non fanno bene al nostro umore ed al "Pil" della Valle d'Aosta!

Perché il decentramento non è il federalismo

Per qualche multinazionale la 'Provincia di Aosta' resiste...Non ci voleva una scienza a capire che le Province non potessero essere né riordinate né soppresse con l'uso della strumento del decreto legge, per cui ora il disegno di legge costituzionale per farlo è una "foglia di fico".
E' stata la Corte Costituzionale a sancire, con sua sentenza, che la decretazione d'urgenza resta un "atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza" e dunque è uno "strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio", riferendosi all'impugnativa della norma fatta da otto Regioni.
Io penso che Mario Monti abbia perso la sua credibilità anche per l'evidente e spocchioso abuso del decreto legge con cui - nella complicità e nell'autocastrazione dello scorso Parlamento - ha governato, facendo "carne di porco" del confronto democratico nelle Camere. Anche in tema di finanze delle autonomie speciali la Consulta ha già punito Silvio Berlusconi e lo farà con Monti e i suoi "professori", compresi quei burocrati dello Stato, che ancora operano nel Governo Letta con quel continuismo, che è il cancro della democrazia italiana.
Lo è sin dall'esordio della Repubblica, quando, senza colpo ferire, la struttura dello Stato è stata quella ereditata dall'epoca fascista e poi, nel "grand tourbillon" dei Governi da allora ad oggi, c'è stata una casta di "culi di pietra" che nei gangli vitali nazionali è rimasta sempre la stessa, in barba ai cambiamenti in politica. Sono capi di Gabinetto, direttori generali, capi Segreteria e funzionari di vario rango: l'ossatura "romanesca" di uno Stato, che è rimasto centralista sin nel midollo e che subisce il sistema autonomistico come un nemico da combattere.
Sono decenni che questo avviene in maniera sistematica. Va detto con onestà che solo la presenza della Lega aveva, dall'inizio degli anni Novanta, obbligato tutte le forze politiche ad aprirsi a prospettive, più o meno ampie, di un federalismo all'italiana. Ma si è trattato di un federalismo verbale e ormai da tempo siamo in epoca di "Controriforma", di cui il Governo Monti è stata la furbesca apoteosi con la logica - intellettualmente brillante - dell'uso della "Governance economica europea" (nella vulgata "Patto di stabilità") come un metodo efficace per distruggere il sistema autonomistico. Una "politica del rubinetto" che, ridimensionati o chiusi i trasferimenti finanziari e bloccata la capacità di spesa, ha ridotto al collasso il sistema degli Enti locali e quello regionale. Dimostrando con chiarezza, se mai ce ne fosse stato bisogno, come mai "decentramento" e "federalismo" siano due cose diverse: una è una concessione sempre revocabile e l'altro è un metodo che imbeve il sistema di più sovranità che si fronteggiano. E non è il caso italiano.
In questo contesto confuso di una "politica debole", resa ancora più fragile dalla logica della grande intesa che porta alla logica scontata del rinvio dei dossier che dividono che sono più di quelli che uniscono, sono contrario - l'ho detto e lo ripeto - a toccare il Titolo V della Costituzione, che comprende anche le Autonomie speciali.
Nella filosofia attuale del "volemose bene" e nella svagatezza derivante dalla confusione dei ruoli, non vorrei che ci fosse un costituzionalismo all'amatriciana, che confezioni un "pacco dono" alla nostra autonomia speciale, svenduta su qualche tavolo romano, anche per la fragilità della nostra capacità di difesa per una scarsa credibilità delle nostre istituzioni, causata da certe vicende giudiziarie che pendono o che arriveranno.
A Giulio Andreotti venne attribuita una celebre frase, sempre calzante: «A pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina».

La missione impossibile

Un'immagine dal quarto film di 'Mission Impossible'Esistono delle missioni impossibili e chi cerchi di risolvere certe incombenze rischia di trovarsi con un pugno di mosche o peggio - usando sempre gli insetti - di mettere il dito in un vespaio.
Una decina di anni fa, quando mi occupai del Turismo valdostano con responsabilità di Governo, mi venne un'idea malsana: fra luglio e agosto un turista in visita in Valle viene assalito da un nugolo di manifestazioni le più varie e si trova con un rischio paralisi per l'eccesso di offerta. Questa circostanza mi aveva fatto venire l'idea di mettere attorno ad un tavolo i diversi soggetti e, senza velleità impositive, valutare come si potesse dare un pochino di logica ad un calendario che evitasse quantomeno macroscopiche sovrapposizioni negli stessi giorni. Confesso che mi sarebbe anche piaciuto, ma quello era come svuotare il mare con un cucchiaino, riuscire nella moral suasion di evitare che nascessero sagre con prodotti assurdi e incoerenti rispetto alla Valle d'Aosta.
In fondo era un esercizio che ha a che fare con la vecchia storia di "chi fa che cosa": dato per appurato che sono un federalista e dunque penso che anche la più piccola delle frazioni del paese più piccolo possa organizzare ciò che vuole e questo vale per qualunque Pro Loco, associazione, congrega e via di questo passo, resta il fatto che - pur in una logica di sussidiarietà - fra i diversi livelli ci si dovrebbe parlare per evitare un'anarchia senza costrutto.
Direi che nulla è cambiato, anzi l'arrivo dell'Office du Tourisme non è servito a niente e i centri di decisione - pensiamo alla "Chambre" - sono persino aumentati e la Governance è sempre più problematica. Ma questa logica di implicazione di tutti i soggetti, in una forma allargata di cogestione, fa sì che se le cose vanno male nel settore turistico, alla fine, nessuno se ne lamenti.
Così le manifestazioni plurime e a patchwork sono, in fondo, l'esempio lampante della frammentazione.

Quando le dirette sono una pena

Fa piacere che le circostanze della politica riaccendano il desiderio di seguire in diretta i lavori del Consiglio Valle, il cuore della piccola democrazia valdostana e del suo ordinamento, se mai ce lo fossimo dimenticati.
Tutti i Parlamenti del mondo si sono negli anni dotati di strumenti di ritrasmissione che consentano di seguire l'attività con dei gradi di efficacia estremamente variabili in qualità e quantità. Fa sorridere pensare, ad esempio, che in Francia, dove il parlamentarismo ha un ruolo meno importante per l'assetto istituzionale presidenzialistico della Quinta Repubblica, ci sia una rete televisiva (la "Chaîne parlamentaire", che ho visitato), che copre in modo capillare l'attività parlamentare.
Per non dire dell'efficacia, specie sul Web, dei sistemi organizzati al Parlamento europeo e, in scala ridotta, dal "Comitato delle Regioni", che ho sperimentato di persona.
Ricordo come grandi sforzi siano stato fatto anche dal Parlamento italiano sia in Rete che sui canali televisivi satellitari.

Una vigna troppo concimata

La vigna estiva nelle Langhe«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».
Sono frasi ben note, che molti che amano la Valle d'Aosta potrebbe capire meglio di altri per quel rapporto ben noto con la propria montagna. Devo dire - ricordandone l'autore, anche se scontato - che Cesare Pavese, quando ero ragazzo, mi impressionava molto e lessi voracemente i suoi libri, perché quando sei adolescente quella storia del Pavese suicida e della sua malinconia acida lasciava il segno. Poi alcuni libri nella biblioteca di casa erano datati anni Cinquanta, con la firma di mio papà trentenne, e mi piaceva questa idea che nel dopoguerra mio padre leggesse un'autore così. Devo dire poi che le letture negli anni successivi hanno umanizzato Pavese, che fra l'altro frequentava con il gruppo dell'Einaudi la Valle d'Aosta e che incontrò per l'ultima volta l'attrice americana, Constance Dawling, per la quale decise di uccidersi come "casus belli" di molte altre vicende, proprio a Breuil-Cervinia.
Così, come mi capita in queste ore, quando sono nelle Langhe, terra natia di Pavese che pure, come tutti i grandi autori, sposa le radici con l'universalità delle sue storie, penso a lui, guardando questa terra viva di vigneti con quei luoghi che lui sapeva narrare e che si capiscono meglio con qualche visita dal vivo.
Ricordo che Davide Lajolo, amico e biografo nel libro non caso intitolato "Il vizio assurdo", ricorda nelle prime pagine cosa gli disse in un parallelo fra la sua vita e le Langhe: «L'unica cosa che lascerò sono pochi libri, nei libri c'è detto tutto o quasi tutto di me. Certamente il meglio, perché io sono una vigna, ma troppo concimata. Forse è per questo che ogni giorno sento marcire in me anche le parti che ritenevo più sane».
Un uomo come una vigna, un'espressione che solo un langarolo poteva adoperare e così, in questa terra di colline e di gusti superbi di vino e di cibi, ci si ritrova a pensare a quanto ci possa aiutare nella nostra vita la letteratura.
Ieri mio figlio Laurent mi ha scritto, in questi dialoghi con "WhatsApp" in cui bisogna essere avari di parole, «ho capito quanto è bello leggere».
Per un padre che ama i libri è una grande gioia. Vale un buon bicchiere di Barbaresco.

Se la polenta è contaminazione culturale

La polenta di ieriSei con un gruppo di amici e attorno alla stufa a legna - che non fa lo stesso effetto d'inverno... - c'è Maurizio che si occupa di cuocere la polenta e si è nella fase cruciale dell'aggiunta della fontina per renderla "concia", come da tradizione valdostana.
Questo gesto della cottura della polenta è assieme antico, ma anche segno eminente di che cosa significhi nel concreto la contaminazione culturale.
La parola in latino - e l'etimologia è la stessa del polline - indicava come polenta la farina d'orzo abbrustolita e questa poltiglia poteva avere come variante altri tipi di farine, derivate dalla segala, dal miglio, dalla castagna, dal farro, dalle fave, dal grano saraceno.
Oggi, in tutte le Alpi con varianti nei metodi di cottura e di "rifinitura" a farla di padrona, come se ci fosse sin dalla notte dei tempi, è la polenta fatta con la farina gialla, derivata dal mais. Ma il mais, come si, sa è approdato in Europa con la famosa scoperta dell'America del 1492 e solo dal Seicento diventa un cereale diffuso nella sua coltivazione, conquistando pian piano le vallate alpine, in un processo di conquista attraverso l'uso diffuso della polenta.
Più tardivo, ma identico nelle sue origini, è dal Nuovo Mondo l'arrivo sulle Alpi della patata, che da un distratto potrebbe essere egualmente ritenuto un prodotto coltivato e presente negli usi culinari sin dalla notte dei tempi. Ad essere precisi, nel caso della Valle d'Aosta, secondo il canonico e scienziato Pierre-Louis Vescoz, la patata giunse in Valle d'Aosta nel 1777, importata dalla Francia dal notaio Jean-François Frutaz, che la seminò per la prima volta nel suo paese, a Châtillon. Propongo sin da ora nel 2027 di festeggiare i 250 dell'arrivo della patata sul nostro territorio e mi pare che si sia trovata benissimo!
Insomma i prodotti si muovono e si innestano sul locale: vogliamo parlare del caffè (oggi alla valdostana!), dei pomodori (fierezza degli orticoltori), del cioccolato, delle molte varietà di frutta "stratificatesi" in Valle d'Aosta in epoca remota o recente?
Esempio "naturalistico" di come la tradizione si evolva e muti, sia fatta di cose che scompaiono e di altre che appaiono. Trasferita nella cultura, rende una comunità vivente, permeabile, mutevole. Esempio, in grande e attraverso millenni di storia, trasferibile nella vita - ahimè più corta - di ciascuno di noi.

Maggioranze

L'angolo dell'opposizione in Consiglio ValleDa qualche parte, per un commento garbato sui fatti politici valdostani, bisogna pur partire. Guardando le cose dall'esterno del Consiglio Valle, tutto può essere più felpato e consente una distanza che risulta pure salutare.
Diciamo così: se sul tema della libertà si vuole essere taglienti, c'è una battuta di quel bizzarro personaggio che fu Leo Longanesi, che scrisse: «Non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi».
Era la stessa persona, anche a giustificazione della sua adesione al fascismo, che sosteneva: «I regimi totalitari non consentono la battuta di spirito ma essi hanno il merito, involontario, di suscitarla. Nelle grandi pause liberali, lo spirito, il gusto del comico, l’ironia languono. La satira è tanto più efficace quanto più è rivolta contro regimi intolleranti».
Sembra un gioco di parole, ma è vero, per paradosso, che meno ti senti libero e meno ti adagi in un triste conformismo. Poi, sulla gradualità dei regimi autoritari, ci si potrebbe a lungo interrogare. Anche in democrazia ci sono aggiustamenti da fare.
Ma forse, come una luce accesa, vale il pensiero dell'intellettuale Simone Weil: «Rien au monde ne peut empêcher l'homme de se sentir né pour la liberté. Jamais, quoi qu'il advienne, il ne peut accepter la servitude; car il pense».
Ci riflettevo, pensando alla forte dialettica politica sviluppatasi - pur con uno squilibrio fra una minoranza "interventista" e una maggioranza poco verbosa, che ha affidato i temi caldi al "Presidentissimo" - in Consiglio Valle, dove si è creata la situazione singolare di una tenzone politica al calor bianco e lo sarà per tutta la Legislatura con quella situazione di un diciotto a diciassette che è di fatto una situazione di blocco.
Leggetevi uno dei pochi articoli mutati in profondità rispetto allo Statuto d'autonomia del 1948. Si tratta dell'articolo 15, modificato nei suoi punti cardine con una riforma del 2001, cui lavorai personalmente alla Camera. Ecco il testo: "Sono organi della Regione: il Consiglio della Valle, la Giunta regionale e il Presidente della Regione.
In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con l'osservanza di quanto disposto dal presente Titolo, la legge regionale, approvata con la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, determina la forma di governo della Regione e, specificatamente, le modalità di elezione del Consiglio della Valle, del Presidente della Regione e degli assessori, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con le predette cariche, i rapporti tra gli organi della Regione, la presentazione e l'approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, nonché l'esercizio del diritto di iniziativa popolare delle leggi regionali e del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo. Al fine di conseguire l'equilibrio della rappresentanza dei sessi, la medesima legge promuove condizioni di parità per l'accesso alle consultazioni elettorali. L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, se eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio regionale. In ogni caso, i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti del Consiglio della Valle.
La legge regionale di cui al secondo comma non è sottoposta al visto di cui al primo comma dell'articolo 31. Su di essa il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla sua pubblicazione. Nel caso in cui il Presidente della Regione sia eletto dal Consiglio della Valle, il Consiglio è sciolto quando non sia in grado di funzionare per l'impossibilità di formare una maggioranza entro sessanta giorni dalle elezioni o dalle dimissioni del Presidente stesso.
La legge regionale di cui al secondo comma è sottoposta a referendum regionale, la cui disciplina è prevista da apposita legge regionale, qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio della Valle. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Se la legge è stata approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio della Valle, si fa luogo a referendum soltanto se, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, la richiesta è sottoscritta da un quindicesimo degli aventi diritto al voto per l'elezione del Consiglio della Valle"
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Questo - scusate la lunga citazione - è uno dei cuori battenti della nostra autonomia speciale e non sfuggirà come la maggioranza di diciotto, in questi contesti essenziali, sia un'arma spuntata. Per questo, pur essendo nato il Governo, non mi pare che goda di grande salute sugli aspetti istituzionali, ma non solo su quelli.

L'amore per la Radio

una radio d'antanIl giorno in cui finiscono le novità è un brutto segno. Per questo sono garrulo se, dopo tanto tempo, mi appresto a tornare in prima persona e dunque parlante - con il sapore del ritorno al passato, ma in una logica attuale - alla Radio. Uso il maiuscolo, perché quando ci vuole ci vuole.
Che si tratti di un amore antico lo dimostra l'epoca del mio primo esordio al microfono: temo si tratti di tanto tempo fa, tipo 1976 o giù di lì, a "Radio Saint-Vincent" di Daniele Bernini agli esordi delle radio che chiamavamo "libere". Poi arrivò "Radio Reporter 93" di Torino, dove mi accompagnò mio fratello Alberto e penso solo grazie a lui mi presero come giovane redattore negli studi di Corso Galileo Ferraris. E infine - dopo la televisione valdostana "RTA" - c'è stata la "Rai" con la "Voix de la Vallée", ascoltata sin da bambino alle 12.10 e faceva impressione trovarsi, di conseguenza, dall'altra parte fra quelli che trasmettevano e non fra quelli che ascoltavano.
Con la politica, in aspettativa dalla "Rai", mi sono tenuto in esercizio con "Radio Monte Rosa" prima e poi, per tanto tempo, nella trasmissione settimanale sulle frequenze di "Top Italia Radio". Tornato in "Rai", pur senza potere usare la mia voce perché eletto, ho per alcuni anni seguito il lavoro degli altri nel settore di mia responsabilità, i "Programmi", che da qualche anno in radio vengono trasmessi su "Radio1", proprio dopo la "Voix", fra le 12.30 e le 14 con - in mezzo alle due tranche - il "Gr1".
Un appuntamento sei giorni su sette, che mi appresto a vivere da lunedì prossimo con un ritorno in onda in FM (mancano "streaming" e "podcast" sulla Rete, purtroppo per ora). Ora mi diverto alla preparazione tra scelta degli ospiti, musiche da programmare e scalette da scrivere, ritrovando a pieno quello che è stato un primo amore.
Molto è cambiato rispetto al passato e a quelle regole che nel 1953 vennero dettate dallo scrittore Carlo Emilio Gadda nel celebre "Norme per la redazione di un testo radiofonico", ma alcune cose - pur oggi prevalendo aspetti di maggior spontaneità - restano valide come: «Costruire il testo con periodi brevi: non superare in alcun caso, per ogni periodo, i quattro righi dattiloscritti; attenersi, preferibilmente, alla lunghezza normale media di due righi, nobilitando il dettato con i lucidi e auspicati gioielli dei periodi di un rigo, mezzo rigo». E ancora: «Procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché per figurazioni ipotattiche, cioè per subordinate (causali, ipotetiche, temporali, concessive). All'affermazione: "Cesare, avendo accolto gli esploratori i quali gli riferirono circa i movimenti di Ariovisto, decise di affrontarlo", sostituire: "Cesare accolse gli esploratori. Seppe dei movimenti di Ariovisto e decise di affrontarlo"».
Spiega ancora Gadda: «Il tono "gnomico" e "saccadé" che può risultare da un siffatto incanalamento e governo della piena (di idee) non dovrà sgomentare preventivamente il radiocollaboratore. Una dopo l'altra le idee avranno esito ordinato e distintamente percepibile al radioapparecchio: una fila di persone che porgono il biglietto, l'una dopo l'altra, al controllo del guardiasala. La consecuzione delle idee si distende nel tempo radiofonico e deve avere il carattere di un "écoulement", di una caduta dal contagocce. Ogni tumultuario affollamento di idee nel periodo sintattico conduce al "vuoto radiofonico"».
Ancora un ultimo esempio tratto dal testo: «Sono perciò da evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche. La regìa si riserva di espungere dal testo parentesi e incisi e di tradurli in una successione di frasi coordinate. Una parentesi di più che sei parole è indicibile al microfono. L'occhio e la mente di chi legge arrivano a superare una parentesi, mentre la voce di chi parla e l'orecchio di chi ascolta non reggono alla impreveduta sospensione. Nel comune discorso, nel parlato abituale, nella conversazione familiare non si aprono parentesi. Il microfono e il radioapparecchio con lui, è parola, è discorso. Non è pagina stampata. La parentesi è un espediente grafico e soltanto grafico. Seguendo nel parlato un'idea, non è opportuno abbandonarla a un tratto per correr dietro a un'altra in parentesi. E meglio liquidare la prima, indi provvedere alla seconda; così il cane da pastore azzanna l'una dopo l'altra le pecore per ricondurle al gregge: non può azzannarle a tre per volta. Congiunzioni temporali e modali e gentilmente avversative (dunque, pertanto, in tal caso, per tal modo, per altro, ma, tuttavia) permetteranno di agire in ogni evenienza con risultati apprezzabili, senza ricorrere a incisi, a parentesi».
La lezione di Gadda, con questo suo linguaggio filante pur con espressioni ormai desuete (tipo il francesismo "saccadé", cioè "a scatti"), prosegue poi con altre indicazioni preziose, ma troppe spesso disattese per una crescente sciatteria del linguaggio parlato.
Cercherò di attenermi alla bontà espressiva indicata, in un programma estivo in cui il tono "leggero" è ovvio per stagione e orario.
A lunedì, per chi lo vorrà.

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