August 2013

Cantiam cantiam

Lo storico 45 giri di Gigliola Cinquetti con 'Montagnes valdôtaines' come lato 'b'Sono stato spesso oggetto di prese in giro per una mancanza di un mio penchant personale per elementari lavori di bricolage. Motivo dei lazzi, specie della mia "dolce metà" che si vanta invece di destreggiarsi fra lavori elettrici, idraulici e di carpenteria, è il fatto che io non abbia frequentato l'asilo, balzando direttamente e con mio vivo malumore nel lontano 1964 in prima elementare (e c'erano ancora solidi banchi con inchiostro e calamaio e poster alle pareti, che ammonivano con disegni sul rischio di ritrovamento di bombe a mano inesplose!). Parrebbe che l'assenza di basici insegnamenti di manualità e di logica in epoca infante mi abbiano reso, per una serie di cose, inguaribilmente imbranato.
Il piccolo Alexis, che ha chiuso ieri il ciclo del "nido" ed è pronto per l'asilo, ha invece avuto garantita una formazione precoce e dunque o sarà viziato da un evidente incapacità frutto dell'ereditarietà oppure mi supererà in un battibaleno.
Devo dire che, già in un aspetto va forte, grazie alle sue simpatiche maestre: il canto. Ridendo e scherzando, ha già un repertorio di una ventina di canzoncine e non perde occasione per dimostrare le sue doti con una vena esibizionistica che viene dritta filata dai miei geni. Alla sua età il mio must era il twist, ballo in voga.
Eppure si scopre che questa educazione-vocazione va presa sul serio. Mi raccontava, giorni fa, il giovane maestro di coro ed organista Davide Benetti (che dirige il "CCS Cogne Arer" e l'Ensemble vocal "de Si de La" di Cogne) come chi diriga - e lui ha vinto, mesi fa, il primo concorso nazionale per direttori di coro "Le Mani in Suono" - si accorga oggi di una certa differenza fra i coristi quarantenni e cinquantenni e quelli più giovani, perché i più vecchi sono più abituati a cantare rispetto alle generazioni successive.
Trovo che sia vero: un tempo non c'era passeggiata, gita scolastica, festa in casa o in tavernetta dove a un certo punto non si intonasse un canto tradizionale o qualche brano di musica leggera. Di conseguenza oggi scopro di sapere a memoria, pur non avendo una particolare intonazione, dei "pezzi"che mi arrivano da chissà quale pezzo di passato. I miei figli più grandi si sono persi questi passaggi e dubito che, malgrado la precoce iniziazione, il più piccolo invertirà questa tendenza alla "smusicalizzazione", anche se nel frattempo nel settore della musica si sono aperte in Valle molte strade che ai miei tempi non c'erano. Ma i canti, il loro apprendimento, il gusto di stare assieme che ne deriva sono un bene da non disperdere.
Proprio perché il canto - basta pensare a cori e cantorie in azione così numerosi in una piccola vallata come la nostra - è un caratteristica forte dell'identità dei valdostani, come dei montanari di tutto il mondo.
Come dice l'Inno valdostano "Montagnes Valdôtaines":

"Ô montagnards! (bis)
Chantez en chœur! (bis)
De mon Pays (bis)
la paix et le bonheur!"

"Pars construens"

Un'immagine del film tratto dal libro di Dino BuzzatiL'attesa in politica è snervante e spesso stancante. Genere: il "pre" e il "post" "sentenza Mediaset" per Silvio Berlusconi, nella sostanza condannato ieri sera con sentenza definitiva, ma con un pochino più di tempo per la misura di interdizione dai pubblici uffici, che arriverà. À suivre...
Mi riferisco, però, al "caso valdostano" ed alla situazione che ha confermato, seppur di misura, il pur declinante potere del Presidente Augusto Rollandin. Chi, come me, ha dissentito e se n'è andato con altri (e dimostratisi tanti con le elezioni) per dar vita al movimento dell'Union Valdôtaine Progressiste vive una ragionevole speranza che si produca il cambiamento e crede che questo, ineluttabilmente, avverrà.
L'attesa può avere un aspetto negativo, che viene oggi propagandato dai difensori dello status quo, che temono il cambiamento per ovvie ragioni e dai pessimisti di varia fattezza, che astrologano sul futuro. Capisco, ma non condivido, perché bisogna sempre essere attenti.
Ricordate il celebre capolavoro, "Il deserto dei Tartari", di Dino Buzzati? La storia è quella del giovane ufficiale di belle speranze, Giovanni Drogo, assegnato in una vecchia e desolata fortezza nel deserto chiamato dei Tartari, da dove chiede subito - inutilmente - di essere trasferito. Così resta e anzi finisce per adattarsi e passa i migliori anni della sua vita senza che mai arrivi l'attesa battaglia.
Solo a un certo punto viene avvistata una fila di soldati, ma sono reparti dello Stato vicino, incaricati di stabilire la linea di confine in un punto sulle montagne. Resta vana l'illusione che prima o poi i Tartari sarebbero arrivati. Drogo invecchia, viene trasferito in città, dove, infine, muore in una locanda con un sorriso sul volto e mostrando - come mai aveva potuto fare da soldato - serenità e coraggio.
Il romanzo è intenso e va inteso in positivo. L'errore è vivere rivolti solo verso un Nemico. Si tratta di un'attività logorante e persino inutile. Quel che conta, invece, è lavorare per il cambiamento, sapendo che se il lavoro è serio e fatto con correttezza un riconoscimento arriverà. Certo i periodi in cui si attende l'esito sperato sono proprio come l'attesa, terribile e vuota, in un avamposto.
Ma l'approccio non è meccanicistico, ma deve servire ad accendere delle speranze.
Scriveva Antoine de Saint-Exupéry: «Si tu veux construire un bateau, ne rassemble pas tes hommes et femmes pour leur donner des ordres, pour expliquer chaque détail, pour leur dire où trouver chaque chose... Si tu veux construire un bateau, fais naître dans le cœur de tes hommes et femmes le désir de la mer».
Così è per un progetto politico serio e condiviso, che prenda atto della realtà e della cattedrale di problemi che è stata costruita in questi anni, spingendo la Valle d'Aosta verso un baratro.
Questo è il peggior nemico, cui bisogna contrapporre - come il desiderio del mare, nelle vesti di "pars construens" - la voglia di libertà e di una Valle d'Aosta migliore.

Il "Berlusconi furioso"

Silvio BerlusconiIl "Berlusconi furioso" è un film già visto, eppure ci sono milioni di italiani che lo seguono, come i topolini con il "Pifferaio magico". Su questo in Valle d'Aosta abbiamo poco da fare i saccenti per quel che capita anche da noi. Basti dire di chi conduce il Governo regionale, e che non a caso ha flirtato negli ultimi anni con il leader della destra, perché "chi si somiglia si piglia" nella sostanza e pure nel tono.
Ma torniamo al punto, che è la paralisi della politica italiana per il "fattore B". In vent'anni la leggenda del "Cav" in politica è diventata una saga con così tante storie che si incrociano degne di "Beautiful". La sostanza è che da queste vicende, che in una normale democrazia occidentale, avrebbero visto più volte la sua fine, Berlusconi sembra uscire come uno di quegli eroi dei film d'azione, che non muoiono mai e ogni volta la sfangano, anche nelle situazioni più impossibili. Una specie di "supereroe" dei fatti propri e non del bene comune, che riesce a volgere a sua vantaggio situazioni estreme, il cui filo conduttore è il vittimismo.
Così, anche in quest'ultimo frangente, con una condanna della Cassazione che si somma ad altre storie che battono alla sua porta, lui - sempre più giovane come un Dottor Faust che abbia fatto un patto con il diavolo (ma c'entra la chirurgia plastica) - appare in televisione con la formula italianissima del "fotte e chiagne".
Smessi i panni fasulli dello statista pensoso di poche ore fa, lodato dal Presidente Giorgio Napolitano, tira fuori la faccia suadente cui corrisponde, però, il volto feroce di chi non vuole e non può lasciare la scena, perché il giorno in cui mollasse verrebbe travolto da una valanga. Così riunisce le sue truppe, di cui resta il solo Generale, e detta la linea: «elezioni, elezioni!». Forte - immagino - di sondaggi che lo danno ancora vincente, anche senza essere candidato.
Reduce da una batosta che avrebbe stroncato chiunque, Berlusconi - attorniato da fan che pure sentono la puzza di morto - rilancia e detta l'agenda. Da sempre la miglior difesa è l'attacco e l'appello al popolo di un uomo del fare, pronto per un grottesco assalto finale. Che poi il decisionismo non ci sia mai stato conta poco: il leader carismatico investe sulla scarsa memoria popolare e sulla forza della sua energia, costi quel che costi, pur di non finire in galera o ai giardinetti a pensare al passato.
Un situazione da schifo, cui bisogna reagire: non perché si debba vivere da antiberlusconiani, ma perché bisogna decidere se esista o no un sussulto di dignità per un'Italia che ha vissuto sull'orlo di una crisi di nervi la Camera di consiglio, in attesa di una condanna penale per un Tizio che ne ha fatte nella vita come Bertoldo in Francia!

Abracadabra

La costellazione del CapricornoLe formule magiche mi hanno sempre divertito: dall'antichissima «abracadabra», alla favolistica «apriti Sesamo», alla simpatica «SimSalaBim». Purtroppo la magia non esiste e dunque dobbiamo affannarci nella nostra quotidianità, senza stampelle di questo genere, che pure sarebbero consolatorie. Molte volte nella vita mi sarebbe servita una bacchetta magica, ma ho imparato a diffidare di chi dice di averla e al massimo riesce a tirar fuori, da semplice illusionista, un coniglio dal cappello.
Ma poi, specie d'estate, quando spazi di ozio obbligano alla distensione, capitano due fenomeni concomitanti: le chiacchiere usa e getta (verrebbe da adoperare il termine "cazzeggio", sdoganato pure dallo "Zanichelli": "(volg.) parlare a vanvera o non seriamente | fare cose sciocche, frivole; perdere tempo senza far niente" e l'acquisto della stampa rosa nelle sue diverse sfumature.
Si scopre ormai che la magia si è dilatata. Un tempo lo spazio maggiore era dedicato agli oroscopi. Ricordo cosa sul tema scrisse la grande scienziata Margherita Hack, scomparsa pochi mesi fa: "L'astrologia poteva avere una giustificazione secoli fa quando non si sapeva assolutamente nulla del cielo, e, delle stelle, si ignorava cosa fossero e a che distanza si trovassero. Era, allora, lecito pensare che tutti gli astri, senza distinzione, potessero avere una qualche influenza sulla Terra, come accade nel caso del Sole e della Luna. Stelle, pianeti, Sole e Luna, non erano soltanto indispensabili, per creare un calendario e per orientarsi, ma erano anche temuti: un’eclisse, una cometa facevano spavento dato che non si capiva con precisione né la loro natura, né la loro causa".
Spiegata come nasce la "bufala" scientifica, aggiungeva: "Ciò che più sorprende è che la consapevolezza della fallibilità delle previsioni astrologiche o magiche non si sia ancora radicata del tutto, nonostante la nostra sia una società tecnologica e a un discreto livello di istruzione. Anzi, secondo alcune statistiche l’astrologia è il culto religioso più diffuso sul nostro pianeta".
Anni fa, per puro divertimento, ho letto il mio oroscopo (per la cronaca sono Capricorno ascendente Leone) dello stesso giorno, scritto da diversi astrologi e dunque in differenti versioni. Purtroppo per loro e per me, la varietà previsionale avrebbe gettato nello sconforto anche il più fedele degli adepti di stelle e pianeti di un cielo fittizio, perché pura invenzione. Tutto e il contrario di tutto.
Ma oggi dalle ciacole estive e dalla lettura della stampa "pettegola" emerge come, accanto ai segni zodiacali e a quelle previsioni, si affermi sempre di più un filone "new age" - rispettabilissimo nelle sue declinazioni e dunque non voglio offendere nessuno - che spazia da medicine variamente alternative a terapie olistiche, da pratiche spirituali a esercizi di meditazione, dalla musicoterapia all'equlibrio emozionale e mi limito a qualche esempio.
Ma dal punto di vista scientifico, naturalmente, si può discutere e colpisce come la crisi attuale, che ha una componente umana che pesa su ciascuno di noi, preveda delle "vie di fuga" di diverso genere. Se questi diversivi fanno bene, non si discute, ma bisogna fare attenzione che la credulità non diventi un succedaneo della vita vera. Più ci si allontana dal reale e più si entra nelle sabbie mobili dell'illusorio.

La responsabilità dei politici

Democrazia...In questo periodo di crisi, è bene riflettere anche sulla crisi della politica, che continua tuttavia - a dispetto di tutto - a camminare sulle gambe delle persone. Dunque va bene criticare sistemi e organizzazioni, leggi e regolamenti, ma esistono sempre dei volti di esseri umani, che devono rispondere anche di persona del loro operato, quando scelgono la politica come impegno, che è una dimensione pubblica. Per cui, alla fine, è anche con vizi e virtù, pregi e difetti, doti e incapacità dei singoli che si finisce per avere a che fare.
Sarà vero che, per un difetto caratteriale, mi è capitato talvolta di essere un pochino sprezzante nel ricordare che la politica è diligenza e studio a chi non se ne accorgeva. Sempre meglio qualcuno che dice la verità sgradevole, piuttosto di chi lo pensa ma non ha il coraggio di esprimersi. Sarò pure antipatico a dire sempre quel che penso, e poi l'età mi sta migliorando come tono e contenuti, piuttosto che essere pusillanime o fasullo.
L'incipit è semplice: chi crede nella politica deve essere sempre attento al contesto, che è ormai come una scala da percorrere nei due sensi, salendo e scendendo, a seconda delle necessità. Chi si ferma è perduto, perché gli scenari mutano con rapidità.
Dalla piccola realtà locale, che deve risolvere i suoi problemi specifici, al contesto regionale con tutti gli argomenti da affrontare in una dimensione più vasta; dal quadro italiano, in cui la Storia ci ha inseriti e mai come oggi crea apprensione, alla dimensione europea, che oggi tutto influenza con normative che penetrano in dettaglio; e ancora - ultimo scalino - quel mondo che irrompe nelle nostre vite quotidiane con argomenti come crisi economica, immigrazione, cambiamenti climatici.
Questa è la complessità, da cui ormai nessun politico può prescindere, e che implica che nessuno possa avere la presunzione della "tuttologia" e obbliga le forze politiche - se vogliono essere una cosa seria e non un semplice comitato elettorale - ad un impegno corale per poter far fronte ai diversi argomenti, che obbligano ad avere e a coinvolgere competenze differenti.
E' vero che un politico deve acquisire un metodo per affrontare i dossier, che consenta un approccio generalistico e un'infarinatura di argomenti vari, ma bisogna fare attenzione - lo dico a me stesso, anzitutto - al diavoletto della presunzione. Spesso, aggiungo anche se è sgradevole, i meccanismi democratici, se seguono solo percorsi di simpatia o peggio ancora di cordate clientelari, consentono di poter accedere in politica, anche in ruoli di rilievo, anche a dei fessi o a degli incapaci, che fanno danni.
La democrazia è fatta così, nel bene e, purtroppo, anche nel male.

In giro per la GA

Il cartello 'GA' sul 'Pandino' di LaurentTe lo ricordi lattante e poi , d'improvviso, ha già il foglio rosa, che oggi si può ottenere a diciassette anni per la "guida accompagnata" (questo vuol dire il cartello fosforescente "GA", attaccato dietro a qualche auto che vedete in giro). Fatto trenta il legislatore avrebbe potuto far trentuno e anticipare di un anno la guida, permessa a persone di età avanzatissima, ben più pericolosa - con l'eccezione ovvio per chi sia arzillo - di quella dei ragazzi.
Così, ora come allora, riferendomi alla mia patente del 1977, si porrà il problema - all'orizzonte 2014 - della macchina per il giovane Laurent. Penso che per un diciottenne nulla come l'auto, ancora più di motorino e moto, sia il segno di una propria autonomia personale. E per i genitori - croce e delizia - il senso del tempo che passa: quando nasce un figlio è come se bruscamente ti mettessero di fronte al naso una clessidra con il tempo della tua vita, scandito da una sabbia immaginaria e soprattutto dalla loro crescita e dal tuo conseguente invecchiamento. Capisco, ma non condivido, la scelta di quelle coppie che scelgono di non avere dei bambini per centrare la loro vita su di loro in un'illusoria sospensione temporale, visto che comunque il tempo fugge e non esiste una moviola per tornare indietro.
La prima macchina per me fu una "Autobianchi A112" grigio metallizzato, che venne dotata di impianto stereo d'ordinanza con autoradio estraibile. La prima macchina non si scorda mai, anche se - visto che ne vedo un modello simile nel cortile di una casa vicina a casa mia - mi domando come quello scatolino possa essere stato per me un oggetto cult e motivo di vanteria.
Ora per i ragazzi, fatto salvo il divieto di cilindrate elevate per i neopatentati (il mezzo non deve avere una potenza massima di 70 kW (95 cavalli), e non può superare il rapporto peso/potenza di 55 kW (75 cavalli) per tonnellata), la gamma di vetture da scegliere è notevole sia in caso di primo acquisto che di scelta sul mercato dell'usato. Io son sempre stato vittima - tipo il divieto di bagno dopo i pasti per evitare la congestione - dei pregiudizi instillati da mio padre contro l'usato, descritto in famiglia come la quintessenza del rischio di finire buggerati.
Mio papà apparteneva alla generazione - era del 1923 - che aveva visto le prime auto in circolazione nel Borgo di Aosta e lui stesso era diventato nel dopoguerra proprietario - credo nel 1953 - di una vetturetta, una "Topolino" - per altro, usata! - di cui ho documentazione fotografica, che sostituì una "Lambretta" che mio padre usava per le visite all'esordio della sua attività di veterinario. All'epoca non erano ancora state costruite le strade delle vallate laterali come grossomodo le conosciamo oggi e solo una moto o una macchina spartana consentivano di muoversi, anche se una parte degli spostamenti erano ancora a piedi.
Poi, con il boom economico, in casa c'erano due macchine: una piccola (furono poi la "500", la "126" e infine la "Panda") e, l'altra, diversi modelli di "Alfa Romeo" con il culminare negli anni Settanta di fruscianti "Giulia Super", che ho fatto ancora in tempo a guidare.
Nei prossimi mesi, vedremo con quale macchina esordirà Laurent, con la certezza che resterà per sempre nella sua memoria.

Cronaca nera, nerissima

Il terribile incidente ferroviario in GaliziaOgni tanto leggere il giornale o guardare un telegiornale diventa un supplizio, perché solo il male sembra far notizia. L'estate è il ricettacolo delle informazioni orribili e, nella gara del baratro più profondo, la sfida talvolta si fa difficile.
Il campionario di questi giorni è da "Grand-Guignol": dal sanguinoso deragliamento del treno in Galizia alla strage del pullman in Irpinia, dalla gioielliera uccisa a calci e pugni a Saronno alla sposina falciata da un'auto pirata a Los Angeles, dai due bambini fulminati in Belgio dal phon gettato nella vasca da bagno dal padre alla coppia morta per una caduta da una teleferica manovrata maldestramente in Svizzera.
La cronaca nera - quando il dolore non ci tocca di persona - ha un suo fascino perverso, forse perché, di fronte a certe vicende, si accendono discussioni appassionanti ma oziose e soprattutto vige un effetto del tipo "mors sua, vita mea", che ci fa sentire degli scampati dalla capricciosità del Caso. La "roulette russa" incombe e non far parte di certe vicende appare consolatorio.
Purtroppo la triste verità, che accomuna in tutto o in parte gli esempi in premessa, è che viviamo in una società in cui l'incompetenza dilaga e anche la follia fa troppo spesso capolino.
La follia affascina e si rischia persino di farne l'apologia. Spesso personaggi bizzarri finiscono nei talk show con una forma di voyeurismo che fa scadere forme di malattia a fenomeno da baraccone. Questo deriva anche dalla legge del 13 maggio 1978, numero 180, la cosiddetta "legge Basaglia", voluta dallo psichiatra italiano Franco Basaglia, che stabilì la chiusura dei manicomi in tutta Italia, com'era giusto che fosse. Ma è mancata la concretizzazione di alternative reali a vantaggio dei pazienti e anche delle loro famiglie.
Un'assenza di consapevolezza in larga parte di opinione pubblica, ed è visibile in certi commenti, rispetto alla cronaca nera. E' il caso degli stalker, che diventano assassini nel solco terribile del femminicidio e vengono poi descritti dai vicini come "persone normali", talvolta "brave persone", immaginando che, per mostrarsi cattivi, avrebbero dovuto aggirarsi con asce affilate. Idem per matti che fanno fuori intere famiglie, come se nulla fosse, o causano incidenti stradali da paura.
La cronaca nera, insomma, va trattata "cum grano salis" e non ci si deve mai rassegnare alla violenza.
A completamento, leggo su "Huff Post" cosa scrive il professor Vittorino Andreoli, uno dei massimi esponenti della psichiatria contemporanea: "L'Italia è un paziente malato di mente. Malato grave. Dal punto di vista psichiatrico, direi che è da ricovero. Però non ci sono più i manicomi". Quattro i sintomi individuati dallo specialista: "Masochismo nascosto (il piacere di trattarsi male e quasi goderne), individualismo spietato (invece di dire "cosa possiamo fare insieme noi per salvarci?", scatta l'io), recita (esistiamo per quello che diciamo, non per quello che abbiamo fatto), fede nel miracolo (noi viviamo in un disastro, in una cloaca ma crediamo che domattina alle otto ci sarà il miracolo che ci cambia la vita)".
Andiamo bene.

Sansone

Una classica rappresentazione di SansoneE' appassionante vedere quanto nell'uso comune tornino espressioni antichissime, che spesso risultano le più azzeccate per descrivere certe situazioni odierne.
Nell'epilogo del "caso Berlusconi", che prima o poi giungerà alla fine, anche se ormai penso che siamo tutti stremati dalle puntate della telenovela che sembra ormai infinita, viene a mente quel paradigmatico «Crepi Sansone con tutti i Filistei» o simili, secondo le traduzioni. Un uso ingiusto, perché volto in negativo, mentre Sansone è un "eroe buono".
Provo una sintesi in alcune righe, tipo bignamino: nella Bibbia, nell'Antico Testamento e nel "Libro dei Giudici" si racconta del concepimento di un neonato nella tribù di Dan, annunciato in sogno alla madre sterile, con l'obbligo di farlo nazireo, cioè di consacrarlo all'Eterno, di non tagliargli mai i capelli, di dargli il nome di Sansone e con l'annuncio che «Egli comincerà a salvare Israele dall'oppressione dei Filistei». Al padre incredulo, un angelo verrà a confermare la promessa e a ribadire la richiesta. Seguono racconti sui vent'anni successivi, sapendo - ecco il punto - che Sansone disponeva di una forza fisica fuori dal comune, che gli proveniva, appunto, dalle trecce dei suoi capelli.
Alla fine - e non è un "dulcis in fundo" (che nella prosa di un mio collega politico diventava in "fundador", che è al massimo un brandy spagnolo) - si assiste alla passione e alla morte dell'eroe, che purtroppo si innamora della celebre Dalila. Lei, per denaro, si presta a sottrargli il segreto della sua forza. Prima il nostro eroe prova a raccontare qualche bugia, ma alla fine cede, rivelandole che solo il taglio dei capelli può consentire ai nemici di fermarlo. Dalila - cherchez la femme - fece addormentare Sansone sulle sue ginocchia, poi chiamò un tizio a tagliargli le sette trecce.
I Filistei lo imprigionano, lo accecano e ne usano le residue forze per fargli girare una macina, come ad un somaro. Durante una grande festa - con la durezza dell'Antico Testamento - lo espongono al ludibrio della folla e infine lo legano tra due colonne del tempio. Ma i capelli nel frattempo erano ricresciuti, così Sansone si attacca alle colonne, esclamando il proverbiale «Ch'io muoia insieme ai Filistei!», facendo crollare l'edificio su tutti quelli che c'erano, lui compreso.
The End.
In verità l'incrocio di miti e i diversi livelli di lettura sono molto più complessi e non andrebbero banalizzati, estrapolando una sola frase. Per cui dovremmo, anche nell'uso dell'espressione topica, essere cauti, ma la sua applicabilità ad un Silvio Berlusconi o alla stessa politica valdostana - io penso tra non molto anche in Valle cadrà il tempio, ma i capelli non saranno della partita, perché pochi - è esemplare di come sia diventato un modo di dire "double face". Con buona pace di Sansone, eroe rovinato dal fascino femminile, per altro per un surplus di testosterone in circolo non poteva essere altrimenti...

Il rischio Titti...

Ho passato molto tempo, nei miei incarichi politici, a difendere l'autonomia speciale della Valle d'Aosta, che ormai - nell'ultimo trentennio - si trova fra due fuochi. Uno, tradizionale, è il centralismo romano, abilissimo a trovare sempre nuovi "cavalli di Troia" per smontare il nostro ordinamento. Poi, in modo più sornione, vi è l'altro fuoco: il vasto e invasivo insieme di decisioni dell'Unione europea. A essere onesti ci sarebbe un terzo fuoco, quello di chi svilisce la nostra autonomia dall'interno: è - per usare un termine guerresco - il "fuoco amico", cioè chi dovrebbe far parte del nostro "esercito", ma invece è di fatto con il "nemico".
Purtroppo una parte dell'opinione pubblica valdostana ha finito per sentirsi tranquilla, reagendo con lo stesso aplomb del canarino Titti - nei celebri cartoni animati - con la sua famosa frase «Oh, oh! Mi è semblato di vedele un gatto», quando si trova di fronte ai goffi tentativi di Gatto Silvestro di farne un sol boccone.

Marina Marina Marina

Marina BerlusconiOgni tanto mi domando in quale altro Paese del mondo, se non in Italia, si affaccino idee e pensieri (oggi va di moda "suggestioni") che rendono la politica come una di quelle scatole a sorpresa da cui, se la apri, esce - con un meccanismo a scatto - un pupazzo beffardo. Indro Montanelli, che era un solido conservatore, ammoniva con la sua prosa puntuta: «In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire. Lo diceva Mussolini: "Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?"».
Non conosco Marina Berlusconi. Ho letto sue interviste, ma non trovo da nessuna parte dichiarazioni filmate. E' il segno, piuttosto impressionante per la sua efficacia, di una strategia comunicativa costruita con aiuto di esperti. La donna manager, figlia di cotanto padre, vive in un alone di mistero, anche se in verità le foto - quelle sono abbondanti e agiografiche - restituiscono l'immagine di una giovane donna che riprende, senza problemi, il vizio paterno della chirurgia plastica.
Dice e ripete oggi che non scenderà in campo, sostituendo papà Silvio - ormai acciaccato politicamente - nella rinata Forza Italia, ma questo non vuol dire niente. Negare una circostanza del genere può far parte della stessa strategia. Stressare l'attesa accresce l'attenzione e prepara la gioia per la probabile scesa in campo da parte dei berlusconiani che, in larga maggioranza, non si scandalizzano di questa scelta dinastica.
D'altra parte l'house organ di famiglia, il settimanale rosa "Chi", ormai da anni - "Panorama" lo fa in maniera eguale, ma con carta patinata - tratta la famiglia Berlusconi con un'attenzione degna di una Casa Reale.
Io non mi stupisco più di nulla nell'Italia attuale. E ho smesso di scandalizzarmi dello stomaco di chi, vivendo nell'adorazione del Capo, ne immagina una continuazione genetica, simile alla Corea del Nord. Non è una questione sentimentale e familiare, perché la proiezione in politica, vent'anni fa del padre e oggi della figlia, risponde a logiche di un Gruppo che oggi soffre di brutto e che cavalca la preoccupazione di una "sinistra" che azzeri "Mediaset" e il potere economico-finanziario della famiglia Berlusconi. L'autodifesa è comprensibile, se non fosse che incide sulla politica, in una commistione impensabile in una normale democrazia occidentale, simile per altro in originalità ad un "governissimo" in cui i partner si guardino in cagnesco. E' vero che ognuno ha i propri accidenti, ma quelli italiani sono un cocktail eccentrico e lo dico in senso negativo. Spesso ci si domanda dove sia il fondo del pozzo e si scopre che ce n'è ancora un pezzo, inaspettato.
Siamo fermi, insomma, a Massimo d'Azeglio (1788-1866), che scrisse: «Gl'Italiani hanno voluto far un'Italia nuova, e loro rimanere gl'Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico la loro rovina; [...] pensano a riformare l'Italia, e nessuno s'accorge che per riuscirci bisogna, prima, che si riformino loro».

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