January 2014

Treinadàn

TreinadànIntanto, auguri sinceri di un Buon Anno! Treinadàn! Non mi dilungo sul punto, ma è indubbio che tutti speriamo che questo 2014 sia un anno di cambiamento. Ce n'è davvero bisogno.
Guardavo ieri il piccolo getto di una fontana di alta montagna. Quello zampillo, sopravvissuto alla ghiacciatura della sorgente. è una metafora della nostra vita, che alterna - come quello schizzo - alti e bassi. Ed è anche il segno, modesto rispetto ai tanti esempi possibili, di come l'uomo e la Natura, di cui ovviamente gli esseri umani fanno parte con buona pace degli adoratori dei Parchi senza vita umana, si compenetrino. L'habitat montano, ostile e assieme ospitale per le condizioni così mutevoli, è un esempio di come gli abitanti abbiano dovuto imparare a viverci.
Amo profondamente la montagna e segnalo che i problemi della montagna (o meglio, visto le diverse tipologie, delle montagne) vedranno nel 2014 alcuni appuntamenti significativi.
Cominciamo dalla dimensione europea: il Consiglio europeo ha deciso che va istruita, da qui al 2015, la strategia per la macroregione alpina. Si tratta per le Regioni delle Alpi dei diversi Paesi di un'occasione storica, se gli Stati non ci metteranno il naso e in questo - per evitare certi centralismi - va evitato il modello della "Convenzione Alpina". Per altro, va precisato che la Lega contrabbanda questa nuova strategia come una specie di nuovo Stato, prendendo lucciole per lanterne. Certo è uno spazio politico, che può avere un gradiente forte di federalismo, ma ciò non vuol dire logiche statuali, pur con nuova geometria, vecchie come il cucco.
Sfida italiana, ma anch'essa di fonte comunitaria, riguarda la partita dei fondi strutturali e il loro utilizzo - nel caso in esame - per le zone montane nel periodo di programmazione 2014-2020. Si deve al precedente ministro della coesione, Fabrizio Barca, uomo dalle grandi competenze in materia, l'idea di costruire una tipologia di interventi per le "aree interne", che comprende anche la montagna. Mi sfugge, per ora, la portata concreta della novità, ma visto che molti si dicono convinti della bontà non mi sembra il caso di fare il "Pierino la peste".
In Valle d'Aosta ci sarà, in tema di montagna, la sfida della riforma degli enti locali. Banco di prova per vedere chi davvero crede nella specificità montana e in una politica federalista nei fatti. Si tratta di un'occasione enorme, che deve invertire la logica di questi anni che ha strangolato i Comuni finanziariamente e con un guinzaglio regionale sempre più stretto al collo.
La montagna, limitandomi, a tre esempi ha, per il suo futuro, questi tre livelli che si intersecano: regionale, statale e europeo. Ma, in tutti i casi, i montanari non sono topini da laboratorio, ma persone in buona parte consapevoli, che conoscono i loro territori, comprese le affinità che riguardano territori analoghi, anche se geograficamente distanti. E la scelta dell'autogoverno non è una sfida passatista, dentro chissà quali confini chiusi con i chiavistelli, ma esempio concreto di come si possa applicare la sussidiarietà in territori particolari.
Il 2014 sarà un anno interessante per questa sfida democratica, per chi ci crede.

Il neocentralismo incombe

La copertina del volumeCerco di leggere sul federalismo quel che la saggistica propone di nuovo: è un tema che mi ha sempre appassionato e di cui ho parlato e scritto tante volte. Per la politica valdostana, il pensiero federalista dovrebbe essere un elemento di riconoscimento e di orgoglio. Ma, come in tutte le cose, per quanto i fondamentali siano sempre gli stessi, in una specie di dizionario ormai stazionario del federalismo, gli elementi cardine non sono un'ideologia astratta, ma strumenti concreti che vanno applicati alla realtà politica e istituzionale, che è dinamica per natura.
In questi giorni, con tempi piuttosto lunghi per la pubblicazione, è uscita la raccolta di interventi svolti in un convegno sul tema "Quale federalismo per l'Italia di oggi?", tenutosi all'Università di Firenze nel novembre del 2011.
Da ritagliare, anche per la preveggenza per quanto sta capitando di questi tempi, è il contributo del professor Carlo Fusaro, che insegna, proprio nel capoluogo toscano, Diritto elettorale e parlamentare. Nel parlare del tema "Il federalismo italiano ovvero la difficile ricerca di un equilibrio "impossibile", l'autore usa argomenti che condivido in pieno e che, tra l'altro, mi sembrano accentuati in un'Italia dove a fine anno c'è stata una raffica di nomine di nuovi Prefetti - simbolo vivente del centralismo statale - e dove cresce l'idea del monocameralismo, non facendo più del vecchio Senato l'auspicata Camera delle Regioni. Una previsione di soppressione tout court, che sarebbe nociva per le autonomie, pensando proprio ai modelli federalisti, dove la seconda assemblea parlamentare è quella che radica la democrazia locale come espressione "nazionale".
Sul clima in Italia, Fusaro ha scritto: "Il punto è che si avverte oggi il rischio di una percezione alterata della grande crisi finanziaria che sta turbando l'Europa e che ha colpito l'Italia in particolare e perciò anche il corrispettivo rischio che ad essa si diano risposte per niente nella direzione del cosidetto. federalismo, dopo esserci riempiti la bocca di parole d'ordine federaliste, dalla Lega alla destra e al centro-sinistra".
Poi l'affondo: "Questo rischio consiste nel fatto che tutte le radicate e profonde tendenze centralistiche, certo mai dome, riemergano irresistibili, approfittando dell'ennesima emergenza (...)".
E più avanti, citando un altro passaggio: "Ciò che io temo (e di cui vedo segnali preoccupanti) è che si rinnovi una commedia degli equivoci e che si torni a confondere unità con centralismo e uniformità; mentre non solo si potrebbe, ma io dico molto meglio si dovrebbe, conciliare unità con autonomia, differenziazione, e quindi libertà".
Naturalmente l'intervento ha un suo sviluppo che parte dalla storia e si chiude su qualche timida speranza: "Consapevole che senza larghe autonomie tendenzialmente federali non c'è crescita e non c'è prospettiva di convivenza unitaria e che autonomia e federalismo, come la democrazia, si imparano solo praticandoli, non rimandandoli a tempi migliori".
Il neocentralismo si sta attrezzando per aumentare di quantità il già ben vivo centralismo: altri partecipanti all'incontro di Firenze, così si legge, compartecipano a questa medesima preoccupazione.
Insomma: antenne dritte per un'autonomia storica come quella valdostana. Il rischio è, come mi pare stia avvenendo, di farsi mettere all'angolo e di finire KO.
Meglio reagire che subire e tacere.

Per i nativi digitali

Alexis all'opera sull'iPadIl piccolo Alexis, ancora di più dei suoi fratelli, è da considerarsi un "nativo digitale". Basta vederlo all'opera con un tablet o un palmare fra le manine: va come un vero e proprio razzo, passando da giochi a filmati in un batter d'occhio, a soli tre anni. Se il buongiorno si vede dal mattino...
Naturalmente, modus in rebus, l'accesso a queste nuove tecnologie è per lui contingentato per evitare che diventi un'ossessione e aggiungerei che ci sono nell'uso regole di vigilanza adatte all'età. Vedo troppo spesso, come poteva già avvenire con la televisione, dei bambini posteggiati davanti allo schermo, come se si trattasse di una baby sitter elettronica, cui appaltare una specie di guardiania passiva. Ovvio, in più, che gli affianchi al digitale la scoperta dei libri cartacei e ce ne sono di bellissimi e stimolanti, oltreché non va dimenticata la forza dell'oralità, come sono le mie favole, inventate e raccontate prima di dormire.
La "Treccani" così definisce un nativo digitale: "chi è abituato fin da giovane o giovanissimo a utilizzare le tecnologie digitali, essendo nato nell'era della Rete e di Internet".
La stessa "Treccani" cita, a questo proposito, un articolo, citandone la fonte, che così articola le diverse tipologie: "Dai dati del report di ricerca, emergono, infatti, tre tipologie differenti di nativi digitali, che segnano la transizione dall'analogico al digitale dei giovani nei paesi sviluppati: a. I nativi digitali puri (tra 0 e 12 anni); b. i Millennials (tra 14 e 18 anni); c. I nativi digitali spuri (tra 18 e 25 anni). (Paolo Ferri, Wired.it, 16 novembre 2010, Internet)".
Poi si cita un articolo più recente del "Corriere della Sera": "in principio c’erano i tardivi digitali (cresciuti senza tecnologia e tutt'ora scettici sul suo utilizzo), gli immigrati digitali (anche questi nati in un mondo analogico, ma ormai adattatisi a usare le ultime novità tecnologiche) e i nativi digitali (che con computer, internet e cellulari hanno a che fare dalla nascita)".
Insomma: io sono un immigrato e l'ultimogenito un nativo puro.
Il fatto di essere un nativo, come già in parte per i miei altri due figli, che sono saliti sul digitale in corsa, pone un problema serio di coordinamento con la scuola. Si porrà sempre di più un problema di ritardo fra la vita quotidiana e l'uso diffuso del digitale e quanto, invece, riguarda ancora, pur con parecchie e crescenti eccezioni, il mondo dell'istruzione, spesso fermo per diverse ragioni, sia tecnologiche ma anche per forme di analfabetismo digitale di una parte, spero ormai minoritaria, di chi opera nella scuola.
Ci vuole un salto di qualità per evitare che i nativi digitali finiscano per non capire certo "vuoto digitale" nella scuola.

Idea giusta, ma scopri l'errore

Seguo con curiosità su "Twitter" esponenti politici di vario livello. Direi che risulta evidente, leggendo quanto viene scritto per un certo periodo, quando a scrivere sia chi firma l'account (cioè il proprio "conto" o meglio profilo) oppure uno o più collaboratori lo fanno per lui.
Trovo interessante chi rende nota questa presenza di supporto, facendo firmare i messaggi non suoi con la scritta chiarificatrice "staff".
Ci sono Paesi nel mondo dove, anche se in apparenza non c'è la furia antipolitica dell'Italia attuale, molto più pragmaticamente un politico che si dimostra bugiardo - anche su piccole cose, perché se emergono reati neanche ci sono dubbi - se ne va a casa.

Piola: una macchina da gol

Il libro su Silvio PiolaSilvio Piola (1913-1996) è stato un mito del calcio italiano. Nel ruolo di centravanti, risulta ancora oggi, con 290 gol, l'attaccante che ha segnato di più nel massimo campionato italiano dal suo esordio nel 1929 sino al 1954, quando lasciò il pallone, mostrando una longevità sportiva inconsueta. Divenne poi, per un breve periodo, allenatore, anche della Nazionale e successivamente fece da osservatore e formatore di giovani.
Ho presentato a Gressoney-Saint-Jean un libro su di lui, intitolato "Silvio Piola, il senso del gol", scritto da Lorenzo Proverbio con la collaborazione della figlia del calciatore, Paola Piola. E' un libro ricco di racconti, assai meticolosi e con parecchie foto e documenti utili per "capire" Piola e la sua epoca, quel Novecento "secolo breve", pieno di vicende storiche significative.
Perché Gressoney? Intanto diciamo che nel palazzetto dello sport del paese c'è, sino al 12 gennaio, una versione ridotta di una mostra, tenutasi a Roma, sul campione per i cento anni dalla sua nascita. Ma rispondo alla domanda: perché Piola dagli anni Sessanta, quindi appena ultracinquantenne, iniziò a frequentare in vacanza il Comune walser. E' stata la figlia a raccontare come i genitori avessero scoperto la località, colpiti dalla natura incontaminata, nel 1968, scegliendola poi come meta principalmente estiva per le ferie. Aveva creato una cerchia di amici con cui giocare a bocce in un bar del paese, ma amava anche andare a pesca e farsi dei bei giri in bicicletta. Una vita tranquilla, godendosi in pace la famiglia e l'accoglienza riservata della comunità locale. Divertente il racconto della figlia, quando descriveva il padre che spiegava a lei e al fratello certe tattiche in campo da gioco da spiegare poi ai giovani, usando molliche di pane in veste di calciatori sul tavolo da pranzo.
Ovviamente quello di Piola per me - per ovvie ragioni generazionali - non è un ricordo diretto, ma di qualcuno di cui, da bambino, quando si parlava di calcio, sentivo raccontare, come avveniva con quella Nazionale azzurra di Vittorio Pozzo, che vinse i Mondiali nel 1938. Inutile dire che il fascismo usò il calcio, come propaganda, in anni di dittatura. Così Piola, cresciuto calcisticamente nella Pro Vercelli, giocò poi nove anni nella Lazio, dove finì per intervento diretto di Benito Mussolini, perché Roma doveva avere una squadra all'altezza! In seguito giocò nel Toro, nella Juventus e infine con il Novara.
Piola fu un uomo serio e preciso, sabaudo direi, che fece del calcio la sua vita e il libro racconta di lui, come merita: un grandissimo, il cui nome è iscritto per sempre negli albi d'oro del pallone. Niente a che fare con certi divi, stupidi e viziati, del calcio di oggi, che Piola, forse, neppure capirebbe più.
Lo scrivo a costo di apparire "laudator temporis acti". Ogni tanto ci sta!

Il caso Schumacher

Michael Schumacher a Saint-VincentOrmai da giorni i media si occupano del brutto incidente in sci del campione di Formula 1, il pluripremiato Michael Schumacher, per altro sciatore di buon livello e in ottima forma fisica. Capisco la sua notorietà e la circostanza di una scarsità di notizie in periodo natalizio, ma all'ospedale di Grenoble, si è vista una ressa inaudita di giornalisti, operatori e fotografi, degna di fatti ben più gravi e segno di una sorta di cortocircuito dell'informazione. Domina, infatti, la ricerca del sensazionalismo e la speranza del macabro, come si è visto anche con certe esagerazioni attorno alla recente scomparsa - sperando che sia a lieto fine - dell'insegnante aostana, Christiane Seganfreddo, che ha fatto perdere le sue tracce in circostanze commoventi.
Ma torniamo al pilota tedesco, che è ancora in coma, dopo il brutto incidente fuoripista a Méribel, in cui ha riportato una grave lesione cerebrale, causata da un impatto contro una roccia affiorante dalla neve, che ha spezzato in due il casco che indossava. Chi conosce la zona mi ha spiegato - e lo si è visto anche da certe riprese televisive - che non si tratta di un vero e proprio fuoripista, ma di una zona - che finisce per essere battuta, pur sassosa che sua, dal passaggio continuo di sciatori - che collega due parti del comprensorio.
Per ora le versioni differiscono e non si capisce se Schumacher viaggiasse o no ad alta velocità (secondo le ultime notizie parrebbe di no), ma di certo il parquet di Albertville farà piena chiarezza sulla dinamica. Credo che sia giusto avere delle certezze, proprio per il clamore creato dagli avvenimenti e per la vasta discussione apertasi sui comportamenti che debbono essere tenuti dallo sciatore in certi casi.
A parte i soliti "montagna killer" o "montagna assassina" che sono formule sbagliate e abusate, resta il fatto che sul pericolo valanghe e sul fuoripista si scrivono troppo spesso - commentando a sproposito le notizie nude e crude delle agenzie - delle vere baggianate. Valanghe e slavine incombono d'inverno e il grado di pericolosità è ragionevolmente prevedibile e non a caso vengono emanati appositi bollettini, che offrono le indicazioni utili e gli appositi suggerimenti. Il fuoripista è una pratica, che si declina in modi diversi, ma che ha come presupposto la conoscenza dei luoghi e delle condizioni della neve e del meteo.
Quando ci sono degli stati di allerta, che vietano o più ragionevolmente limitano il fuoripista, bisogna prenderne atto e non far finta di niente. Ho visto in vita mia, all'epoca in cui ero un giovane cronista, dei morti sotto la neve: non è un bello spettacolo.

La Befana e i Re Magi

I classici Re MagiQuest'oggi - anche se ormai i miei figli più grandi mi prendono per scemo - spunteranno le calze della Befana con i dolciumi. Premetto che so bene quanto la Befana sia una "bufala" importata, senza legami veri nella tradizione locale, come sta avvenendo - ma non prenderne atto servirebbe a poco - con l'americanata di "Halloween". La "Befana" deriva da leggende degli Appennini e la definizione nasce da una storpiatura di "Epifania". Parola che, a sua volta, passa dal greco al latino epiphanīa, appunto "manifestazione di Gesù ai Re Magi", derivata appunto dal greco "epipháneia" "manifestazione, apparizione", derivazione di "epiphaínomai" "mostrarsi, apparire".
La Befana diventa un personaggio adoperato dal fascismo per la creazione di un immaginario utile per avere un insieme di miti a favore del processo di identità nazionale, in quella logica di una mitologia laica che aveva in fondo una venatura anticristiana, presente nel confuso background di Benito Mussolini.
Meglio, dunque, parlare di Epifania con i Re Magi, simpatica leggenda, che deriva da una sola fonte: il Vangelo secondo Matteo, su cui poi la tradizione ha sovrapposto molti elementi, tipo il numero di tre, i loro nomi, che la stella fosse una cometa e lo stesso look con cui si rappresentano nel presepe.
Leggiamo un primo brano: "Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi (μάγοι magoi) giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov'è il re dei Giudei (βασιλεὺς τῶν Ιουδαίων basileus tōn ioudaiōn) che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella (ἀστέρα astera), e siamo venuti per adorarlo». All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: "E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele"».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo». Udite le parole del re, essi partirono"
.
Insomma i Magi si mostrano piuttosto goffi, denunciando in buona fede la nascita di Gesù, che Erode vuole uccidere. Prosegue Matteo: "Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono (προσεκύνησαν prosekynēsan). Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro (χρυσὸν chryson), incenso (λίβανον libanon) e mirra (σμύρναν smyrnan). Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese. Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggì in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo»".
Il resto è noto e, attorno a questo episodio, si costruisce l'Epifania su cui si innesca, a cavalcioni della sua scopa come se fosse davvero una strega, la Befana con una coda beffarda di auguri scherzosi alle signore e signorine. Sacro e profano.

L'iniziativa Weber

Franz WeberMi è capitato di finire, in una tavolata di svizzeri, nel pieno di una discussione politica incandescente, su di un tema che - quando ci sarà una strategia per macroregione alpina, cui comparteciperanno anche i Cantoni elvetici - potrebbe essere un argomento da approfondire per tutte le zone turistiche delle Alpi. Sarebbe ora che su certi temi, fatti salvi i diversi ordinamenti e la logica di reciproca concorrenza, ci fosse una visione comune su malattie da curare. Mi riferisco, in questo caso, al dilagare delle seconde case: fenomeno che consuma il territorio e che crea i famosi "letti freddi", che sono negativi per il turismo montano. Il tema, anche in Valle d'Aosta, ha visto, in diversi piani regolatori, meccanismi correttivi (tipo legare le costruzioni nuove ai posti letto alberghieri), ma poi le cose non hanno funzionato, perché "fatta la legge, trovato l'inganno" e in alcune località l'immobiliare è davvero un fenomeno speculativo. Si è continuato a costruire, mentre magari il patrimonio immobiliare storico cade a pezzi.
Ma la discussione in Svizzera - su cui ero preparato, stupendo gli amici elvetici - riguarda una decisione drastica in particolare, così riassumibile, come emersa da un referendum, attraverso una scheda di sintesi: "L'initiative populaire «pour en finir avec les constructions envahissantes de résidences secondaires», dite «initiative Franz Weber» du nom de son principal promoteur, est une initiative populaire suisse, acceptée par le peuple et les cantons le 12 mars 2012".
L'ecologista Weber, dopo anni di battaglie, ha vinto con questo referendum, che agisce sulla Costituzione: "L'initiative propose d'ajouter un article 75a à la Constitution fédérale limitant à 20 pour cent du parc des logements et de la surface brute au sol habitable le nombre accepté de résidences secondaires pour chaque commune".
I vallesani, che forse avrebbero dovuto legiferare prima, ma pensavano che Weber non ce la facesse e dunque si potesse traccheggiare, ora sono con le spalle al muro e poche settimane fa: "Une étude récente de l’institut lausannois iConsulting a chiffré à 300 millions de francs les pertes financières cumulées pour les ménages des cantons du Valais et de Vaud. Pour le seul Valais, 3300 emplois devraient être gommés, pour l’essentiel dans la construction et au niveau des emplois indirects qu’induit ce secteur".
I miei commensali agitavano cifre ancora peggiori e scappatoie non ce ne sono, dopo un pronunciamento del Tribunale federale, che ha ribadito che l'esito del referendum è immediato e la legge applicativa indiscutibile e il testo definitivo tra poco arriverà per regolare le mille implicazioni giuridiche derivanti dal voto popolare.
Quel che inquieta nelle discussioni è che, anche in Svizzera, sembra in difficoltà la costruzione di alberghi, quelli che hanno i "letti caldi": il sistema bancario sembra restio a finanziare operazioni di questo genere per la scarsa redditività del turismo alpino. Il "caso valdostano", dove il blocco totale e poi parziale del pagamento dei mutui ha per ora rallentato il rischio di nuovi crack nel settore alberghiero, ha problemi simili e in certi casi ancora più delicati. Mi riferisco, per fare un esempio, al tasso medio di occupazione, che è più probante della lotteria dei numeri di arrivi e di presenze.
Anche questa storia degli alberghi, in connessione con le seconde case, che consentono guadagni immediati e ben più elevati per gli investitori, dovrebbe essere oggetto di una riflessione congiunta delle popolazioni alpine per capire come mai le straordinarie attrattive montane non bastino più ad attirare turisti e tocchi sempre fare i salti mortali per restare a galla. Nel caso valdostano, trovo giusta lo sforzo di attrazione di turisti stranieri di nuova provenienza, anche se non si possono fare le nozze coi fichi secchi per la promozione, ma rassegnarsi alla fuga degli italiani appare una miopia.

Le proposte di Renzi e la Valle d'Aosta

Matteo Renzi a Palazzo ChigiMatteo Renzi non perde tempo e sul tavolo della politica italiana "lancia" alcune proposte importanti per le riforme istituzionali. Apre, dunque, una trattativa politica e lo stesso, par di capire in contemporanea, fa il Presidente del Consiglio, Enrico Letta. Confesso di non capire - ma credo che sia una mancanza mia - chi tenga il pallino in mano, perché le trattative a due teste non portano distante.
Cominciamo dalla legge elettorale: penso che siamo a circa una quarantina di settimane che, per riffa o per raffa, si annuncia che la riforma del famigerato "Porcellum", che in verità già si sarebbe dovuta fare prima delle scorse elezioni politiche, sta giungendo a maturazione. Se non fosse stata in frigorifero o meglio in un freezer, tutto sarebbe già marcito. Ma, si sa, l’Italia è il Paese dell’eterno rinvio e della memoria corta dei cittadini, che sono perennemente incazzati, non capiscono e poi, alla fine, si adeguano.
Renzi, dopo aver preparato da tempo le sue proposte, per non essere colto impreparato, “spara” tre possibilità:
• Modello spagnolo. Divisione del territorio italiano in 118 piccole circoscrizioni con un premio di maggioranza del quindici per cento (92 seggi) alla lista vincente. Ogni circoscrizione elegge un minimo di quattro e un massimo di cinque deputati. Soglia di sbarramento al cinque per cento.
• Modello della legge Mattarella (nota anche con il nome di "Mattarellum"). 475 collegi uninominali e assegnazione del venticinque per cento dei collegi restanti attraverso un premio di maggioranza del quindici per cento e un diritto di tribuna (l’elezione d’ufficio per i partiti che non superano lo sbarramento) pari al dieci per cento del totale dei collegi.
• Modello del doppio turno di coalizione dei sindaci. Chi vince prende il sessanta per cento dei seggi e i restanti sono divisi proporzionalmente tra i perdenti. Possibile un sistema con liste corte bloccate, con preferenze, o con collegi. Soglia di sbarramento al cinque per cento.
Detto così, mancano elementi reali di valutazione, perché siamo di fronte a proposte assai schematiche, che andrebbero declinate in modo chiaro. Certo noi siamo protetti dalla norma statutaria, che per nostra fortuna parla di circoscrizione elettorale e dunque per uscire dall’attuale sistema uninominale, in vigore dal dopoguerra, bisognerebbe arrampicarsi sugli specchi. Dice, infatti, lo Statuto all’articolo 47: "Agli effetti delle elezioni per la Camera dei deputati e per il Senato, la Valle d'Aosta forma una circoscrizione elettorale" . E' bene, comunque, vigilare.
Nella lettera ai partiti, scritta da Matteo Renzi (l’avranno ricevuta anche i partiti espressione dei parlamentari valdostani?), vengono annunciate anche due proposte di riforma istituzionale, che aveva già anticipato nei mesi scorsi:
• La riforma del bicameralismo, con la trasformazione del Senato in camera delle autonomie locali e la cancellazione di ogni indennità per i senatori, che non vengono più eletti.
• La riforma del titolo V della Ccostituzione per restituire allo stato alcune competenze oggi in mano alle Regioni e ridurre il numero dei consiglieri regionali e le loro indennità (al livello di quello che guadagna il sindaco della città capoluogo).
Qui, in chiave valdostana, lo scavo sulle proposte vere e proprie dev'essere ancora più profondo, sia sul primo che sul secondo punto, perché va chiarita la presenza valdostana al Senato, legata alla norma di rango costituzionale già citata, così come toccare il Titolo V non è una bazzecola neppure per le Regioni a Statuto speciale. Non solo perché fra gli articolo del Titolo c'è pure il caposaldo della specialità, cioè l'articolo 116, ma anche perché una parte del dinamismo del nostro vecchio Statuto deriva dall'estensione alle autonomie differenziate di materie e poteri, derivanti proprio dal testo novellato di questa parte della Costituzione. Insomma, ancora più vigilanza.
Direi: allarme rosso.

Un articolo di Scalfari sul federalismo "regionalista"

Capita ormai raramente che in Italia si parli di federalismo, se non per parlarne male.
Non mi stupisco affatto: in tempi non sospetti avevo previsto che, con la caduta a picco della Lega, ci sarebbe poi stata un'involuzione sul tema. Per cui, oggi si dicono federalisti o ne parlano quelli che hanno nel loro background il tema e di certo nella storia personale e politica di Eugenio Scalfari, giornalista e scrittore ben noto, il virus federalista c'è.

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