December 2014

Il cimitero dei distributori di benzina

L'ex distributore all'ingresso di AostaSeguo con viva curiosità le liti e le beghe mondiali sul prezzo del petrolio, che poi ci tornano sul gobbone (specie quando aumenta), ma intanto volo qui molto più basso, proprio come l'attuale prezzo al barile (che essendo in diminuzione arriva lentamente alle pompe).
Ogni volta che penso ai carburanti mi girano le scatole a pensare come la Valle d'Aosta sia vittima di una situazione grottesca: con la fine del sistema dei "buoni di benzina", che riguardavano anche il gasolio, i prezzi alla pompa sono schizzati in alto e oggi basta fare un giro nel vicino Canavese per vedere che c'è qualcosa che non torna, visto che lì i costi sono mediamente inferiori. La giustificazione addotta sarebbe i prezzi di trasporto verso la Valle, forse validi per i residui impianti in alcune vallate, ma nel fondovalle ogni spiegazione di questo genere appare davvero ridicola.
Se si guarda, sul sito della Regione, l'andamento dei consumi dei carburanti in Valle d'Aosta nel decennio 2003-2013 salta all'occhio il continuo calo dei consumi della benzina e del gasolio, mentre - per ovvi motivi di risparmio - aumenta il consumo del "gpl" in modo particolare dal 2009 al 2013.
Così si spiega in modo più dettagliato sul sito: "il calo dei carburanti tradizionali risulta più evidente a decorrere dal 2010 in concomitanza con l'abolizione dell'agevolazione fiscale ("Carte vallée") sancita con l'entrata in vigore della legge regionale n. 51 del 23 dicembre 2009. Ad accentuare ulteriormente il calo dei consumi hanno contribuito anche l'aumento delle accise sui carburanti e l'aumento delle quotazioni del petrolio sui mercati internazionali che hanno fatto lievitare in modo esponenziale il prezzo. A contribuire ulteriormente al calo dei consumi ha, senza dubbio, inciso pesantemente la crisi economica che sta interessando l'Unione Europea e l'Italia in modo particolare".
C'è sempre da chiedersi, ma ormai fa parte della Storia di una vicenda su cui la Regione ad un certo punto ha sbracato, come mai a sopprimere le agevolazioni sui carburanti non sia stato lo Stato, abrogando la norma del dopoguerra "in attesa della Zona Franca", ma la Regione stessa con sua legge. Ma par di capire che le evidenti responsabilità "tafazziane" non hanno influenzato le scelte successive degli elettori, almeno nella loro veste di automobilisti con la benzina ormai cara come il fuoco.
Certo è che la diminuzione dei consumi e la necessità di razionalizzare la rete distributiva hanno falcidiato il numero dei distributori di carburanti in Valle d'Aosta, che oggi sono una sessantina, cui si è aggiunto anche da noi - ragione in più per molte chiusure - il fenomeno delle "pompe bianche", cioè quelle prive di marchio che riescono a spuntare prezzi più competitivi, come si dice oggi "low cost". Se non ci fosse il costo dei trafori alpini anche in Valle si evidenzierebbe il fenomeno dei "pieni" in Francia e in Svizzera, dove la fiscalità non ha raggiunto i deliranti livelli italiani e si supera il cinquanta per cento sul costo totale. Quando ho visto i prezzi dei carburanti a Dubai mi è venuto da svenire...
A chi, come me, ha memoria degli anni del boom della motorizzazione e della conseguente apertura massiccia di distributori di benzina, fa impressione oggi vedere lo stato di abbandono di aree di servizio del passato. In quasi tutti i Comuni valdostani, per non parlare delle vallate ormai prive di impianti, ci sono "cadaveri" di vecchie stazioni, difficilmente riciclabili ad altri usi. Come delle carcasse di animali morti, rimaste lì come segno del cambiamento.
Lo stillicidio di chiusure di queste aree - una sorta di cimitero delle stazioni di servizio - è ormai talmente rapido che ogni tanto mi sfugge l'ultimo decesso. Come un flash, l'altro giorno, a fianco alla caserma dei pompieri di Aosta, mi sono accorto del panorama diverso, per una sosta in una zona normalmente a traffico veloce. Un distributore chiuso se lo sta rimangiando la natura ed è diventato in fretta un segno di degrado. Nella stessa città di Aosta ci sono e ci saranno altri casi. Mi pare che, tranne rare eccezioni, idee innovative per il loro riutilizzo non ce ne siano.

Quando un Ministro non studia...

Lavori sulla ferrovia, ad AostaRicordo l'imbarazzo, da presidente della Regione, di quando l'allora ministro dei lavori pubblici, Antonio Di Pietro, cominciò a parlare ad Aosta - in un incontro aperto ai giornalisti - del traforo del Fréjus, scambiando la Valle d'Aosta con la Val di Susa. Non fu facile interromperlo per sincronizzare gli orologi...
Chissà se qualcuna delle autorità regionali avrà fatto la stessa cosa, quando l'attuale ministro Maurizio Lupi a Bard ha segnalato come la nostra ferrovia sia ottocentesca e dunque degna di figurare nel Museo delle Alpi, aggiungendo poi, come riporta "La Stampa": «la Valle d'Aosta, con la richiesta al Governo di avere le competenze sui trasporti, ha fatto un grande passo avanti. Il dialogo continua e si tratta di ragionare sugli investimenti, dentro un disegno di rete comprensivo del Nord-Ovest e del cosiddetto Corridoio 5. E' in questo contesto che va inserita la ferrovia Aosta-Torino».
Non so quale film abbia visto Lupi, ma stupisce che un ministro non abbia avuto, prima di parlare, una piccola nota riassuntiva sulla questione. Ci si domanda come si sia svolto a Roma il famoso incontro chiarificatore di ottobre a Roma dallo stesso Lupi con la delegazione valdostana composta dall'assessore con delega sii trasporti Aurelio Marguerettaz e l'assessore alla sanità Antonio Fosson (non perché la ferrovia fosse "malata", ma perché "ciellino" come il Ministro e quindi ritenuto utile per una spintarella...). Allora si scongiurò il taglio delle corse sulla tratta ferroviaria, bloccando "Trenitalia" che chiedeva conto di soldi della Regione, ma l'evidente, attuale disinformazione del ministro dimostra che o il dossier non fu approfondito o che Lupi ne ha scordato i contenuti. Infatti i rapporti Stato-Regione sul trasporto ferroviario non sono all'inizio di un dialogo come parrebbe, ma già regolati da una norma di attuazione sul trasporto ferroviario in "Gazzetta Ufficiale" dal 2010, che è rimasta lettera morta per colpa di quello Stato che ora, per bocca del ministro, fa il gradasso con la Valle d'Aosta. E se lo fa senza venire pubblicamente rimbrottato dalla Regione siamo mal messi, perché mettere i puntini sulle "i" non vuol dire venir meno al "bon ton" per un ospite in visita. Lo stesso che - ma dai? - fa lo stupito per le tariffe autostradali della Quincinetto - Aosta - Cournayeur, quando Lupi, che non è di primo pelo, conosce benissimo le ragioni del duopolio italiano che consente ai gestori autostradali di arricchirsi sulla pelle degli automobilisti.
Insomma: o il ministro è "Alice nel Paese delle Meraviglie" ed in Valle ha aperto i suoi occhioni su un mondo nuovo a lui oscuro - e non si capirebbe perché fa il ministro dei lavori pubblici e dei trasporti - oppure pensa di essere legittimato a raccontare delle favolette ai valdostani fessacchiotti ed emozionati di ricevere un ministro. La norma di attuazione è un diritto ed ogni ritardo in un Paese civile si chiamerebbe "omissione di atti d'ufficio", mentre da noi una violazione di questo genere sembra normale ed un ministro può pure portarci a spasso nel citare il "Corridoio 5 Lisbona - Kiev", che nel nostro caso c'entra come i cavoli a merenda.

Si tornerà all'acciaio di Stato?

La 'Cogne acciai speciali' di AostaDopo la stagione delle privatizzazioni delle imprese pubbliche - in parte fasulla, tipo "Poste italiane" o "Ferrovie" con SpA a capitale del Ministero dell'Economia - sembra che sarà il settore siderurgico, per decisione del premier Matteo Renzi, a tornare allo Stato. Si parla di Taranto, a suo tempo privatizzata, con il "Gruppo Riva" che acquistò una buona parte di "Ilva", grande fabbrica pugliese oggi scossa dalle vicende giudiziarie, specie a seguito delle gravi vicende di inquinamento del sito industriale con ricaduta sulla salute dei lavoratori e della popolazione. Ora potrebbe tornare al settore pubblico, in considerazione del numero enorme di occupati e - si dice - del valore strategico di una produzione di questo genere. Per analogia, se i tedeschi ora proprietari non accetteranno soluzioni di compromesso, anche per lo stabilimento siderurgico di Terni si potrebbe andare verso una soluzione simile per evitarne la chiusura.
L'acciaio pubblico è passato ai privati dagli anni Ottanta in poi e lo stabilimento "Cogne" di Aosta seguì queste procedure, quando a presiedere l'"Iri" era Romano Prodi. Vinsero la gara per l'assegnazione della fabbrica gli svizzeri Marzorati, che ancora oggi reggono lo stabilimento.
Che il settore siderurgico italiano vada male lo dimostrano le vicende di quel che è rimasto nel settore. Pensiamo anche a Piombino, già "Lucchini", che ora, ma anche con una diversificazione verso il settore alimentare, finirà nelle mani di un gruppo algerino. Ma se guardiamo all'Europa - pensiamo alla Francia o al Belgio - c'è poco da essere confortati e non a caso la Commissione europea ha sviluppato un piano d'azione che "aiuti il settore a fronteggiare le sfide contingenti e a porre le basi per riconquistare competitività in futuro grazie all'innovazione e agli stimoli a favore della crescita e dell'occupazione".
A fronte di crisi del settore che sta chiudendo o ridimensionando fabbriche in diversi Paesi membri, questi gli scopi dell'iniziativa di Bruxelles, frutto anche di una spinta del Parlamento europeo: "La Commissione intende sostenere la domanda sia interna che estera di acciaio prodotto nell'Unione Europea grazie a interventi che permettano alle imprese siderurgiche europee di ottenere accesso ai mercati dei Paesi terzi in condizioni di pratiche commerciali leali. La Commissione europea vuole anche impegnarsi a ridurre i costi dell'industria, compresi quelli causati dalla regolamentazione europea. Innovazione, efficienza energetica e processi produttivi sostenibili sono aspetti imprescindibili dei prodotti d'acciaio di prossima generazione, essenziali in altri importanti settori industriali europei. Il Piano d'azione prevede anche misure mirate per sostenere l'occupazione in questo campo, accompagnare le ristrutturazioni e far restare in Europa una manodopera altamente qualificata".
Per quel che mi riguarda, non essendo più dentro le vicende europee, non so bene se questa impostazione agevoli di fatto, come vuole fare Renzi, il ritorno del pubblico con delicatissime implicazioni in materia di limiti agli aiuti di Stato nel solco dei principi assai rigidi della concorrenza.
Il dominus della situazione sarebbe la "Cassa Depositi e Prestiti", che deve la sua ricchezza prevalentemente alla gestione del risparmio postale (buoni fruttiferi e libretti). Scriveva, nell'ottobre scorso, Giorgio Meletti sul "Fatto Quotidiano": «è la zia ricca d'Italia, quella a cui fai gli auguri di Natale quando ti serve l'aiutino per cambiare la macchina sperando che il prestito diventi regalo. Di fronte a qualsiasi ostacolo si chiama in causa la "Cassa Depositi e Prestiti". Ci sono decine di miliardi di fatture non pagate dalla Pubblica amministrazione? Chiediamo a "CdP", diranno ministri tecnici e politici. "Telecom Italia" non ha i miliardi necessari a sistemare la peggior rete d'Europa? Sentiamo che cosa dice "Cdp". C'è da rattoppare il bilancio dello Stato con qualche finta privatizzazione? "CdP" comprerà senza esitazione. Tutti però, Governo in testa, fingono di non vedere la dura realtà: la "CdP" è come la zia facoltosa che ha lasciato tutto alle Orsoline, residuando ai nipoti il dolore, quello vero. Questo è il vero nodo che il Governo Renzi dovrà affrontare nei prossimi mesi, insieme a quello dei vertici: la Cassa è solo apparentemente ricca.
Vanta un attivo patrimoniale di 314 miliardi, ma di questi solo diciotto sono suoi (in gergo si chiama patrimonio netto, è la somma del capitale sociale e delle riserve), gli altri 296 miliardi sono debiti. La Cassa però esprime una forza lobbistica senza pari, per cui è difficile trovare qualcuno disposto a dire che il re è nudo. La stessa "Banca d'Italia" usa toni insolitamente delicati per far notare che a nessuna banca è consentito investire in partecipazioni azionarie un solo euro più del patrimonio netto: significherebbe mettere a rischio soldi non propri. A fronte dei diciotto miliardi di patrimonio netto, "CdP" ha in portafoglio partecipazioni per trentadue miliardi: tra esse i pacchetti di controllo dei tre gioielli quotati in Borsa, "Eni", "Terna" e "Snam". Raccoglie risparmio e lo presta ma non è una banca, come la pipa di Magritte. Burocrati e giuristi se vanno d'accordo fanno miracoli. Ma di chi sono i soldi con cui il presidente Franco Bassanini e l'amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini se la tirano da ricchi e potenti? Dei piccoli risparmiatori che affidano magre finanze alle "Poste" in cambio del rendimento minimo di buoni fruttiferi e libretti. Nel 2013 il cosiddetto "popolo delle vecchiette" ha affidato a "CdP" 242 miliardi, remunerati con 5,4 miliardi, al tasso medio del 2,1 per cento. Ecco la magia: "Cdp" gira i soldi in gran parte allo Stato, comprando "Bot", "Cct" e "Btp" ed alimentando un conto presso la Tesoreria. Nel 2013 ha prestato al Tesoro 173 miliardi, incassando interessi per 5,9 miliardi, al tasso medio del 3,4 per cento, superiore del sessanta per cento a quello pagato alle "Poste". Se il Tesoro piazzasse direttamente i suoi titoli alle vecchiette risparmierebbe 2,3 miliardi. Invece lascia il pizzo alla "CdP". Fatto sta che nel 2013 la Cassa ha casualmente fatto 2,3 miliardi di utile netto. Così sappiamo chi paga i lussuosi propositi di "CdP". E si spiega perché Bassanini, dopo una vita da politico iscritto a tutti i partiti, adesso che è banchiere parla da onnipotente. In una napoleonica intervista al Foglio - dopo averci indotto a credere di essere l'unico umano in grado di farsi ascoltare da Matteo Renzi per più di qualche minuto ("da alcuni mesi ha costruito un rapporto speciale con il segretario del PD - telefonate, sms, consigli, cene") - ha lanciato il guanto di sfida: "Noi ci mettiamo in gioco. Possiamo triangolare con il governo per stimolare la crescita. Possiamo riprodurre da un certo punto di vista il vecchio modello "Iri". La "CdP", quando sarà, vedrete che non si tirerà indietro"»
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Ecco, insomma, dove potrebbe andare l'intervento nella siderurgia, per cui qualche riflessione sulla bontà dell'eventuale scelta andrebbe fatta.
E per chiarezza ulteriore: questo modello è ripetibile laddove la crisi industriale morde o si tratta di interventi eccezionali, scelti a discrezione del Governo? Se si pensa alla crisi delle piccole e medie imprese industriali valdostane si capisce che il rischio è quello di avere da parte dello Stato due pesi e due misure.

Roma ha la "Mafia Capitale"

Ho seguito mesi fa su "Sky", in un misto fra orrore e stupore, la serie ispirata da "Romanzo criminale", il libro scritto dal giudice Giancarlo De Cataldo, che romanzò, ma forse non ce n’era bisogno vista la qualità dei misfatti, la vera storia della "Banda della Magliana", che operò in Italia a Roma tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta. Ricordo di come, in anni successivi, si parlò persino di sospetti di qualche tentativo d’interessamento per il Casinò di Saint-Vincent e non ci sarebbe certo da stupirsi.
Da libro e film risultavano, in una Roma degradata da violenza e malaffare, intricati traffici intercorsi tra Stato e criminalità, la lotta tra bande per il controllo dei traffici di droga, prostituzione e gioco d'azzardo nei vari quartieri della capitale e altre nefandezze a due passi, con evidenti interazioni, con la Roma della politica e delle Istituzioni. Devo dire che dallo sceneggiato, come spesso capita quando si ricostruiscono vicende umane che si intersecano con avvenimenti di cronaca nera, c'era il rischio quasi di provare simpatia per certi personaggi, che parevano invincibili di fronte ad uno Stato lento nelle sue risposte repressive.

L'autonomia del futuro

Io con Laurent Viérin ed Alessia FavreIn Valle d'Aosta ci si occupa dell'autonomia speciale e la proposta più recente è quella, di cui sono uno dei promotori nell'Union Valdôtaine Progressiste, di una Costituente Valdostana per raccogliere proposte ed idee contro la deriva che stiamo subendo. Ho ripreso non a caso l'immagine, pur macabra, della "garrota", che uccide per soffocamento i diritti dei valdostani, benché retti da norma di rango costituzionale e su di un accordo pattizio di natura politica.
Fa piacere che analoga discussione sia oggi in corso in Trentino - Alto Adige / SüdTirol grazie al direttore del giornale Trentino - Alto Adige, Gianni Faustini. Un giornalista che conosco e stimo, di recente è stato anche a "Prima Pagina" di "Radio3", che fu anche capo dell'ufficio stampa del presidente della Giunta Provinciale trentina, prima con Carlo Andreotti e poi con Lorenzo Dellai, entrambi miei amici.
L'articolo che ha originato il dibattito aveva questo incipit: "Nessuno ha il coraggio di porsela. E molti la evitano con capriole politiche e istituzionali. Ma la grande domanda, oggi, è ormai una sola: l’Autonomia è provvisoria? Il colpo di genio di Alcide De Gasperi - che permise a questa terra di trasformarsi da ruota di scorta in motore della ripresa - è uno strumento a termine? Il grande statista, quando firmò lo storico accordo con il ministro degli esteri austriaco Karl Gruber, si immaginava di riconoscere per sempre le forme di autogoverno che avevano caratterizzato la storia del Trentino - Alto Adige? O pensava, con una lungimiranza oggi quasi sconosciuta, alla creazione di un vascello capace di portare questo territorio dalla fame atavica ad una oggettiva ricchezza per poi riporre la barca nel porto di un’Italia che ormai vede le autonomie come forzature e privilegi indifendibili?".
Direi che Faustini non nasconde il problema e aggiunge più avanti: "Siamo in mezzo ad un attacco senza precedenti: un governo sempre più centralista cerca di svuotare le nostre casse fingendo di dimenticare tutte le competenze che sono legate alla gestione di quei quattrini. La politica e la stampa nazionale dileggiano ogni giorno la nostra realtà, usando ogni contraddizione (e ce ne sono molte, purtroppo) per evidenziare quanto l'autonomia sia ormai immotivata e superata".
Segue un affondo: "La difesa portata avanti dai nostri governanti è debole: perché certi argomenti (governiamo con rigore; ci sono le minoranze; abbiamo tante competenze...) non reggono più. E perché gli altri territori - a fronte di analoghe competenze - sono convinti di poter fare anche meglio, se non altro perché trovare una classe dirigente di livello, in regioni più grandi, è statisticamente molto più semplice. In quanto al rigore, poi, inutile fingere: è stato messo in discussione da troppi errori. Le fondamenta dell'autonomia, insieme alle stagioni eroiche che sono servite per costruirla, scricchiolano. Regioni e Province sono poi diventate simbolicamente, in Italia, il principale imputato della crisi delle istituzioni: per colpa di chi, da Nord a Sud, le ha usate come bancomat al servizio di avidi politici d'ogni partito. Chiedersi con trasparenza se l'autonomia sia provvisoria, significa allora cercare di prefigurare scenari, costruire vie d'uscita e nuove strategie e non stantie rivendicazioni che suonano addirittura come provocazioni agli occhi di altri territori, di altri governatori e di un certo Renzi. Come se non bastasse, l'aria che spira sul nostro presente è resa ancor più gelida dal fatto che un amico di questa terra stia per lasciare il Quirinale: senza Napolitano, sarà infatti ancor più difficile tutelare, a Roma o a Vienna, quelle che Rossi e Kompatscher - che hanno comunque il pregio di muoversi insieme, seppur trascurando l'assetto regionale - chiamano «le nostre prerogative». Forse è meglio che Dellai e Rossi - e tutti gli altri che li seguiranno - aprano le loro "Leopolde" cercando subito una risposta".
In fondo in Valle d'Aosta la "Leopolda de-nos-atre" è esattamente la proposta UVP. Ma è bene a proposito seguire con attenzione gli esiti della discussione dei nostri "cugini" alpini trentini e sudtirolesi.

Qui di seguito potete ascoltare il mio intervento alla conferenza stampa.

Quei giochini attorno al Traforo del Monte Bianco

L'interno del Traforo del Monte BiancoHo già scritto, in questi giorni del mio stupore della leggerezza con cui il ministro delle infrastrutture e trasporti, Maurizio Lupi, ha approcciato il problema della ferrovia in Valle d'Aosta. Pur a fronte di una norma di attuazione sul trasporto ferroviario del 2010, in cui si sono dettate le diverse possibili procedure per l'esercizio regionalizzato della linea e persino per l'eventuale cessione, così come sui lavori di ammodernamento necessari, Lupi - osservato che la linea ha ancora caratteristiche ottocentesche («elementare, Watson…») - si è detto lieto che si siano aperte trattative con la Valle sulla questione. In realtà dovremmo essere sulla dirittura d'arrivo, dopo inspiegabili ritardi da parte dello Stato (anche se l'esatta strategia della Regione resta ignota), ma si vede che le comunicazione avvengono, in linea con le locomotive a vapore, con i piccioni viaggiatori.
In realtà Lupi avrebbe dovuto dire che il suo Ministero ha le idee chiare, che risultano nelle apposite tabelle del "Documento di economia e finanza 2014", laddove si citano - zona per zona - le realizzazioni infrastrutturali da realizzare. Tra l'altro, per quelle del futuro, l'insieme di norme dello "Sblocca Italia" prevede una crescente forza dal centro per le decisioni su queste infrastrutture, facendo del sistema autonomistico una sorta di "belle statuine". Nella sostanza: se lo Stato decide, lo Stato impone con procedure "blindate" e basta popolazioni ed eletti locali che mettono i bastoni fra le ruote del "cambiamento".
Fatto salvo un finanziamento di settanta milioni di euro per la Funivia del Monte Bianco (il cui costo è salito nel tempo fino alla vetta di 144,79 milioni di euro e son curioso di vedere il costo finale), nell'elenco per la Valle d'Aosta appare solo un'altra opera: il raddoppio del Traforo del Monte Bianco. Opera avversata, in primis, dal Consiglio regionale della Valle d'Aosta e che i francesi, ai massimi vertici, hanno detto di non volere. Ma l'Italia - e con essa anche i soliti noti in Valle d'Aosta, che aspettano solo il momento buono per agire - tiene duro, anche se in genere su di un tunnel bisognerebbe avere la certezza che dove spunti il buco ci sia consenso ed anche il necessario cofinanziamento. Non è che i trafori si finanziano in modo unilaterale...
Il costo, a carico dello Stato, ma non so bene come se la giocherebbe l'Anas, cui spetta il compito nel rapporto con il privato Benetton (azionista di maggioranza, che magari ambisce ad una proroga della concessione, ora fissata al 2032), è di 371,65 milioni di euro. Il modello perseguito è in sostanza quello del Fréjus, dove in questi giorni è caduto l'ultimo diaframma della seconda canna del traforo, che sarà in esercizio nel 2017. Il raddoppio del Monte Bianco, che è un "affare" mica da ridere, come il miele per gli orsi, sembra non tenere conto di una serie di circostanze. Tipo il "no" a costruzioni di questo genere, che ovviamente penalizzano ogni idea del trasporto merci su rotaia, sancito dal "Protocollo trasporti" della "Convenzione Alpina" e neppure logiche di economicità, visto comunque la riduzione dei Tir in transito attraverso le Alpi in questi anni, a dispetto di certe previsioni del passato. Ma non sempre la logica di certe "grandi opere" è il buonsenso, ma la benzina è ben altra...
Per altro, quei soldi per il raddoppio del Traforo verranno computati in capo alla Valle d'Aosta e quindi quella cifra così cospicua escluderà altri interventi necessari su strada - e sulla Statale 26 le urgenze non mancano, come la "Montjovetta" - e ferrovia, che sarà pure Cenerentola, ma norme applicative dello Statuto pretendono una soluzione per il suo ammodernamento.
Insomma, come sempre, la palla è nelle mani della politica e del tanto citato "bene comune", che non è alla fine un'invenzione di oggi, ma ne parla pure Dante Alighieri nel suo "De Monarchia". In tempo di mafie varie, compresa quella di Roma Capitale (con incredibile norma costituzionale, l'articolo 114 della Costituzione!), certi valori spiccano come gemme purissime.

L'e-commerce che si espande

Gli omini della 'Lego' che interpretano il commercio on lineTempo di scelta dei regali natalizi. Senza troppo scavare nel significato del dono, resta valida una frase dell'antropologo francese Marcel Mauss «On se donne en donnant», tratta dal suo libro del 1924, fondamentale proprio per chi si occupi dell'economia del dono.
Personalmente provo piacere sia a ricevere un regalo, sia a farlo, e mi sforzo, in questo periodo di "tour de force" dello scambio del dono, di evitare di trovarmi all'ultimo momento con l'acqua alla gola.
Noto, guardandomi attorno, come Natale dopo Natale cresca il fenomeno dell'e-commerce, il commercio elettronico attraverso Internet.
"Lex24" del "Sole - 24Ore" così inquadra il fenomeno: "L'e-commerce è una forma di commercio e vendita di beni o servizi che si effettua attraverso Internet, con piattaforme IT di diverso genere e struttura (n.d.r.: le diverse tecnologie), a seconda che di gestiscano beni o servizi propri o di altri ed a seconda del tipo di rapporto (eventuale) che si instauri con i titolari della merce o dei servizi compravenduti ovvero, ancora, che il titolare di alcuni diritti di privativa si strutturi per fornire linee guida o altro ai propri rivenditori". Ovvio quindi che la gamma di acquisti sia vastissima e si allarghi sempre più lo spettro delle offerte, di cui la merceologia da regalo è un tassello.
Più avanti si precisa: "Credo che il consumatore sia molto tutelato in Italia per le vendite on-line. La normativa è molto stringente e prevede obblighi talvolta maniacali di informativa da parte dei titolari o gestori dei siti, condizioni di vendita e di pagamento chiare ed esplicitate, possibilità di esercitare recesso per il consumatore se cambia idea sull'acquisto. E poi le sanzioni sono importanti per i gestori di siti che trasgrediscono".
In effetti quando cominciai a comprare via Web avevo tre timori: il primo era l'uso della carta di credito e il rischio di prelievi illegittimi o di clonazioni, il secondo era la preoccupazione che, al posto del prodotto prescelto, mi arrivasse un mattone, come esemplificazione perfetta del rischio di incorrere in una truffa, il terzo riguardava la restituzione della merce per qualunque tipo di problema si verificasse.
Oggi chiunque si muova con un minimo di attenzione sa che è pieno di siti affidabili per la sicurezza dei pagamenti, la rispondenza fra merce promessa e ricevuta e soprattutto ci sono sistemi di restituzione rapidi e efficaci. Si sta anche affinando la consegna degli acquisti tramite i corrieri.
In questi giorni, ho potuto testare il sito di una "griffe" famosa e devo dire che, oltre ad una facilità nell'identificazione del prodotto ben descritto e illustrato, c'è stata un'efficacia del sistema di acquisto, completata non solo da puntuali messaggi via sms e via mail sullo stato della spedizione della merce, ma anche - a causa di un mio errore nei dati di fatturazione - ho ricevuto da un call center una richiesta di spiegazione assai utile, che mi ha consentito di completare con facilità per telefono l'acquisto fatto con errore on line.
Fa da contraltare una cattiva esperienza: un amico mi ha mandato un indirizzo Web di un supposto sito "Moncler", che sembrava facesse prezzi stracciati, dopo la celebre inchiesta di "Report" sui piumini. Avessi seguito il primo impulso, di fronte ad una liquidazione così incredibile come risposta - pensavo - ad una crisi del marchio presso i consumatori, avrei preso una fregatura. Il sito, per alcune difformità linguistiche, è apparso poi essere un abile tarocco, che avrebbe "risucchiato" i dati della mia carta di credito. Segno che certi "affaroni" devono far scattare un campanello d'allarme.
Ciò detto, resta scontato che l'e-commerce, con tutte le accortezze del caso, sarà sempre più presente nella nostra vita quotidiana.

Roma Capitale: lo scenario diverso del federalismo

Una delle intercettazioni da parte dei Carabinieri del 'Ros'Pierre - Joseph Proudhon, federalista del passato, all'epoca della discussione risorgimentale, cercò - con il suo linguaggio franco e spesso criticabile (come il suo antisemitismo e la sua misoginia) - di mettere in guardia la politica italiana sulla deriva centralistica e pure sul ruolo sia simbolico che concretissimo di una città come Roma.
Ed invece prima nell'Italia liberale, poi con la tronfia retorica fascista e poi con un crescendo dal dopoguerra ad oggi, la situazione della "valorizzazione" di Roma avviene con foga per poi piangerne di fronte agli scandali, l'ultimo dei quali - punta dell'iceberg - è "Mafia Capitale".
Sotto il profilo costituzionale, la premessa al patatrac è stata la vigente modificazione costituzionale del 2001, quando in Costituzione spunta questa norma: "Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento". La successiva applicazione è l'esaltazione dell'autonomia della Capitale e delle sue istituzioni particolari con grande generosità finanziaria, quando già si sapeva che l'indebitamento
Scriveva ieri sul "Corriere della Sera" Sergio Rizzo, in un duro editoriale di prima pagina, che così recita: "C'è un dubbio che oggi, dopo il raccapricciante spettacolo di "Mafia Capitale", a maggior ragione ci attanaglia. Siamo sicuri che aver salvato Roma dal fallimento sia stata una scelta giusta? Il commissario al debito Massimo Varazzani argomenta che con il dissesto della Capitale d'Italia si sarebbe rischiato il declassamento del debito sovrano, con relativa impennata della spesa per interessi e costi ancora maggiori. Pericolo che del resto, vista la nostra situazione economica, è perennemente incombente. E ieri ne abbiamo avuto la prova. Ma il ragionamento di Varazzani non fa una piega. Al tempo stesso non si può, né si deve, sorvolare sulle conseguenze di quei salvataggi. L'ispettore spedito un anno fa dalla Ragioneria a fare le bucce al bilancio del Campidoglio ha concluso che il commissariamento del debito con gli interessi accollati allo Stato si sia tradotto in un incremento della spesa corrente arrivato nel 2012 a ben 641 milioni: il costo di 13mila dipendenti comunali. Per non parlare delle municipalizzate, con l'Atac bisognosa di continue trasfusioni di denaro. Mentre per l'Ama, l'azienda dei rifiuti già affidata a quel Franco Panzironi stipendiato con 545mila euro ed ora fra i nomi di spicco dell'inchiesta, parlano chiaro le slavine di 1.644 assunzioni e 1.700 stabilizzazioni di precari. E se non c'è la prova che un fallimento (per cui all'epoca secondo gli ex esponenti della giunta Veltroni messa sotto accusa da Alemanno non esistevano presupposti) avrebbe impedito corruzione, ruberie e malversazioni, di sicuro le avrebbe rese più difficili".
Mi fermo qui, essendo le conclusioni scontate, ma fatemi aggiungere solo che in un'epoca in cui si criticano le "autonomie speciali" c'è un inquietante silenzio sulla "specialità" di Roma, cui ha corrisposto l'esito appena esposto.
Verrebbe voglia, perciò e sul caso, di citare quella frase, in un articolo su di uno scandalo ottocentesco, di Giosuè Carducci: «Salvateci dal fango che sale, che sale, che sale». Ma si sa che, su Roma, sembra prevalere, passata la vicenda scandalosa del momento, il grido di Garibaldi, storpiato da Mussolini per la celebre marcia su Roma, «O Roma o morte!». Mentre meglio ricordare quel titolo, diventato purtroppo proverbiale, di una celebre inchiesta degli anni Cinquanta de "L'Espresso" che suonava "Capitale corrotta = Nazione infetta" attraverso un'inchiesta (1956) sulla speculazione edilizia a Roma.

Babbo Natale, malgré lui...

La biancheria di Babbo NataleCerchiamo nella vita di ricucirci degli spazi che ci mettano di buonumore. E' un imperativo categorico.
Ha scritto Laurence Sterne, scrittore irlandese settecentesco: «Se mi fosse concesso come a Sancio Panza scegliermi un regno, non sarebbe un regno marittimo - o un regno di neri con i quali fare qualche penny - no, sarebbe un regno di sudditi che ridono di cuore: e poiché le passioni biliose e più saturnine, creando disordini nel sangue e negli umori, hanno una cattiva influenza, a quanto vedo, sul corpo politico quanto su quello naturale - e poiché niente all'infuori dell'abitudine alla virtù può dominare completamente quelle passioni, e assoggettarle alla ragione - aggiungerei alla mia preghiera - che Dio conceda ai miei sudditi la grazia di essere saggi quanto sono allegri; e sarei allora il più felice dei monarchi, e loro il più felice dei popoli sotto il cielo".
Bella questa coppia allegria e saggezza!
Andilly è un comunello dell'Alta Savoia, sommatoria di tre paesi e situato ad una media di settecento metri di altitudine, che si trova fra Annecy e Ginevra. Lì è sorta un'attrazione, che specie di questi tempi funzione a tutto vapore, trattandosi di niente di meno che dell'"Hameau di Père Noël". Escursione simpatica con bambini piccoli o adulti aspiranti tali, anche se le code durante la visita non sono proprio invitanti.
Così si raccontano: "Pas besoin d'aller au bout du monde pour faire rêver petits et grands et vous plonger dans l'univers féerique du Père Noël! C'est en Haute-Savoie qu'il s'est installé, au Col du Mont Sion, en compagnie de la Mère Noël, des lutins et de ses fidèles rennes... et il vous accueille toute l'année pour un moment magique quelque soit la saison...".
Con tutto il rispetto dell'idea di business, non mi pare che la ciambella sia riuscita del tutto con il buco. Per capirci: un "Babbo Natale" a Ferragosto mi sembrerebbe fuori luogo e spiazzante, ma che in queste ore non ci fosse uno straccio di Babbo Natale in pelle ed ossa stupisce. L'unico era un pupazzo messo nel letto a dormire...
Tuttavia, fa sorridere egualmente la visita nelle casette allestite con il sistema di smistamento delle lettere dei bimbi a Babbo Natale e quello di costruzione e di invio dei regali nel mondo, oltre alla camere da letto di elfi e del "grande Vecchio" con improbabile "Mamma Natale". Restano infatti lo stupore genuino dei bambini e la tacita complicità degli adulti. Dimostra che per "Babbo Natale" si è pronti a tutto. Sarà pur vero che noi cristiani ci siamo fatti trasformare sotto il naso una festività centrale della nostra religione, che già era ovviamente "meticciata" da riti e credenze "pagane". Perché nessuno è in grado d'imporre una religione se non inglobando parte di quanto già c'era e così ha fatto anche il Babbo Natale, prendendo elementi profondi dell'umanità e pure pezzi di quel San Nicola di cui è parziale ricopiatura.
Insomma, nella cultura popolare non si butta via nulla e l'identità delle festività natalizie è plurima e cosmopolita e pure in continua trasformazione e di questi tempi il côté commerciale spinge a mille e in parte trasfigura. Aggiungerei che più i tempi sono grami e più ci si attacca ad elementi feticcio - come il peluche della propria infanzia - perché appaiono come un elemento di rassicurazione, quando troppo nella nostra vita si modifica in modo inquietante e l'unico modo per esorcizzare le paure è rifarsi a quanto - vero o artificiale che sia nei fatti e nel nostro sentimento - ci scalda il cuore.
Così il Natale, che sarà in parte una sovrastruttura che si può criticare, ma ogni tanto penso che non sia male farsi trascinare, anche prendendo per buona la presenza di un "Babbo Natale", piuttosto fantasmatico, in trasferta sulle Alpi...

I cerchi attorno a noi

Saturno e i suoi anelliLa premessa sarà pure un déjà vu ed è la constatazione che, quando capitano escursioni come quella che ho fatto nelle scorse ore per i mercatini di Natale ad Annecy in Alta Savoia, mi sento a casa mia e non solo - come qualcuno potrebbe credere - per una questione linguistica. Si tratta di cerchi concentrici che riguardano territori con cui si hanno diversi livelli di affinità. Nel caso di Annecy appartiene al primo cerchio, quello della comune e strettissima storia sabauda, ma pure di quella precedente, fatta di scambi millenari di prossimità. Lo stesso vale per i Cantoni Romandi della Svizzera: anche in quel caso la vicinanza e l'affinità secolari sono di facile constatazione. Poi, naturalmente, esistono cerchi che si allargano, come può essere l'appartenenza ad un area geografica più vasta ancora, che va da quella piemontese confinante (Valsesia, Biellese, Canavese) ad altre vallate alpine al di qua e al di là delle Alpi e sino al Mediterraneo. Esiste poi l'intero arco alpino con le sue affinità ed assonanze ed il rapporto consolidato con città, come può essere Torino o Chambéry.
Questa è una dimensione molto europea, che rende moderna una logica antica: gli Stati nazionali mettono assieme nel loro territorio comunità assai diverse fra di loro e hanno "spezzato" comunità viciniore, facendo finta che certi legami culturali ed economici non fossero mai esistiti in favore - appunto - di una ragion di Stato. Si tratta di una specie di lobotomizzazione nel nome di un nazionalismo esclusivo che semplifica la Storia, nella costruzione identitaria artificiale che lo Stato Nazione ha forgiato. Intendiamoci: ogni formazione d'identità è fatta di miti e costruzioni astratte, per cui non mi stupisco affatto. A che il "valdostanismo" (o "valdostanità") ha una componente ci creazione culturale e politica. Ma il nazionalismo "grande" e giacobino ha una componente violenta ed aggressiva, che tende ad agire contro le preesistenti realtà nazionalitarie. Solo il federalismo consente di trovare forme unitarie rispettose di ogni componente.
L'Unione europea, capro espiatorio ormai di tante cose, pur essendo una sommatoria di Stati, ha lavorato sulla caducità delle frontiere e dei confini. Le tragedie delle Guerre mondiali, prima con il lavoro del "Consiglio d'Europa" e poi con il quadro giuridico dell'Unione europea, hanno consentito di avere un antidoto potente nella cooperazione transfrontaliera, oggi nel gergo comunitaria diventata cooperazione territoriale. Ciò riguarda i vicini di casa ingiustamente allontanati da frontiere per loro artefatte, ma anche trovare disegni di affinità di non obbligatoriamente contigui. E' il caso - che so - delle città portuali, delle zone minerarie, delle minoranze linguistiche e gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Si tratta di una geometria variabile che ha come caposaldo l'idea per nulla semplice di dar vita ad una vera cittadinanza europea che si basi su legami forti e condivisi, ritessendo anche quella tela strappata - nel caso valdostano - fra Ottocento e Novecento con vicini di casa.
Ciò vale ovviamente se, nel frattempo, azzeccagarbugli all'opera sulla Costituzione repubblicana non si infileranno in operazione maldestre e pericolose, come potrebbe essere l'improvviso o progressivo svuotamento dell'autonomia speciale della Valle d'Aosta. Sarebbe una scelta ridicola e anacronistica, perché entità territoriali senza un pezzo di sovranità sono come robot in mano ad altri.

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