January 2015

Treinadàn e buoni propositi

Il tempo, reale e relativoBuongiorno a tutti voi e tanti, cari e sinceri auguri! Treinadàn!
Ah! Ah! Mi sono svegliato nel 2015 e la mattina di un nuovo anno ha naturalmente l'oro in bocca. A dire la verità ero già andato a dormire nel 2015, dopo aver assistito impotente alla morte improvvisa ma assai prevedibile del 2014. Una volta certe Mezzenotti avevano un gusto superfestaiolo e un pizzico guascone, mentre oggi esiste una casalinga e sterilizzata euforia.
Non è che l'addio all'anno passato mi sia dispiaciuto più di tanto, ma non mi lamento del defunto e non solo per elementare bon ton. Scusate la banalità: poteva essere meglio, ma - visto il periodo che viviamo - sarebbe potuto andare anche peggio ed è bene, dunque, essere realisti. Come ha detto Totò: «La vita è fatta di cose reali e di cose supposte: se le reali le mettiamo da una parte, le supposte dove le mettiamo?». Garbato ammonimento ad accontentarsi e io trovo che resti inutile "piangere sul latte versato", anche se ce ne fosse stato bisogno.
Attenzione, però, a questa storia del tempo. Sant'Agostino ha scritto nel 497 d.C.: "… né futuro né passato esistono, e solo impropriamente si dice che i tempi sono tre, passato presente e futuro, ma più corretto sarebbe forse dire che i tempi sono tre in questo senso: presente di ciò che è passato (memoria), presente di ciò che è presente (percezione), e presente di ciò che è futuro (anticipazione)".
Chiaro no? Allora proviamo con Thomas Hobbes nel 1660: "Solo il presente esiste in natura: gli eventi passati esistono solo nella memoria, ma gli eventi futuri non esistono affatto, il futuro essendo null'altro che una finzione della mente che applica la successione delle azioni passate a quelle che sono presenti".
Sempre più confusi? Il più forte resta Einstein e la sue relatività del tempo, che ricordo con due sue frasi scherzose ma non troppo.
La prima: "Quando corteggi una bella donna un'ora sembra un secondo. Sembra che cammini sui bracieri ardenti, un secondo sembra un'ora. Questa è la relatività".
La seconda, che si capisce solo ad una certa età: "A volte chiedo a me stesso come sono arrivato a sviluppare la teoria della relatività. La ragione, credo, è che un adulto normale non smette mai di pensare ai problemi dello spazio e del tempo. Queste sono cose che vengono pensate durante l'infanzia, ma il mio sviluppo intellettuale è ritardato, e come risultato ho cominciato a propormi domande sullo spazio e sul tempo quando ero cresciuto".
Parole sante: i bambini ci insegnano come noi adulti ci (e li) ingabbiamo in logiche cartesiane che imbrigliano la nostra vita. E bisognerebbe fare in modo che il tempo assumesse una maggior flessibilità e lo si amministrasse con maggior oculatezza, tenendo conto di quanto tutto attorno a noi cambi così in fretta da sentirsi sempre un po' all'inseguimento.
Ha osservato acutamente lo scrittore francese Jean d'Ormesson: "En cent ans, nous avons connu plus de changements qu'en 10.000 ans. Quelle accélération! Tout va si vite: le présent n'est qu'un morceau d'avenir qui se mue aussitôt en passé".
Per questo bisogna centellinarlo di più questo tempo e in fondo, visto che oggi è la giornata che serve per elencare i buoni propositi, questo sarà il mio miglior buon proposito. Tra un anno verificherò se sono state - destino negativo di tanti buoni propositi che evaporano nel corso dell'anno - parole al vento.
Rinnovo la speranza che per tutti voi l'anno che è cominciato sia propizio per tutte le cose belle che vorrete!

Ecco il 2015

Per tanti anni, in questo stesso periodo, quando avevo mandati elettivi di responsabilità, ho fatto auguri "ufficiali" ai valdostani con messaggi in cui cercavo di condensare le cose fatte e le speranze per l'anno nuovo.
Oggi faccio altro, occupandomi del mio lavoro radiotelevisivo e mantenendo, in altro modo, la passione per la politica, che ha occupato in modo esclusivo una larga parte della mia vita.
E' una posizione da osservatore, con qualche ruolo più attivo, come oggi in vista della "Costituante Valdôtaine" proposta dall'Union Valdôtaine Progressiste, che però mi consente di vedere le vicende politiche con meno coinvolgimento emotivo, ma con la cognizione di causa di chi avuto la fortuna di fare molte esperienze molto diverse ma assai formative.

Napolitano saluta e se ne va

Giorgio Napolitano durante il suo messaggio di fine anno del 2014Fra pochi giorni, il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, lascerà il Quirinale e spero sinceramente di poterlo incontrare quando sarà tornato alla sua vita privata.
Quando il Presidente accettò il secondo mandato - unico caso sino ad oggi nella storia della Repubblica a fronte di una paralisi nelle votazioni - precisò che lo avrebbe fatto per un tempo limitato.
Ho visto il messaggio registrato del Presidente e vorrei fare - anche se un'antica amicizia mi fa vedere le cose con una certa parzialità - qualche osservazione su quest'ultimo intervento prima delle imminenti dimissioni, motivate da ragioni di età, ed i novant'anni non sono uno scherzo nel ruolo presidenziale. Riflessioni che per Napolitano «avranno per destinatario anche chi presto mi succederà nelle funzioni di Presidente della Repubblica».
Il Presidente ha comunque confermato la lungimiranza della scelta di accettare la Presidenza, pur pro tempore: «L'aver tenuto in piedi la Legislatura apertasi con le elezioni di quasi due anni fa, è stato di per sé un risultato importante: si sono superati momenti di acuta tensione, imprevisti, alti e bassi nelle vicende di maggioranza e di governo; si è in sostanza evitato di confermare quell'immagine di un'Italia instabile che tanto ci penalizza, e si è messo in moto, nonostante la rottura del febbraio scorso, l'annunciato, indispensabile processo di cambiamento».
Ricordate le riforme costituzionali in corso e la necessità di una nuova legge elettorale, ha aggiunto: «Credo sia diffuso e dominante l'assillo per le condizioni della nostra economia, per l'arretramento dell'attività produttiva e dei consumi, per il calo del reddito nazionale e del reddito delle famiglie, per l'emergere di gravi fenomeni di degrado ambientale, e soprattutto - questione chiave - per il dilagare della disoccupazione giovanile e per la perdita di posti di lavoro. [...] Tutti gli interventi pubblici messi in atto in Italia negli ultimi anni stentano a produrre effetti decisivi, che allevino il peso delle ristrettezze e delle nuove povertà per un così gran numero di famiglie e si traducano in prospettive di occupazione per masse di giovani».
Ma Napolitano se ne va, mantenendo la fiducia:«Un recupero di ragionata fiducia in noi stessi, una lucida percezione del valore dell'unità nazionale, sono le condizioni essenziali per far rinascere la politica nella sua accezione più alta, per rendere vincente quell'impegno molteplice e di lunga lena che i cambiamenti necessari all'Italia chiaramente richiedono».
Poi un occhio all'Europa: «La crescita economica, l'avanzamento sociale e civile, il benessere popolare che hanno caratterizzato e accompagnato l'integrazione europea, hanno avuto come premessa e base fondamentale lo stabilirsi di uno spirito di pace e di unità tra i nostri popoli. Ebbene, questo storico progresso è sotto attacco per l'emergere di inauditi fenomeni e disegni di destabilizzazione, di fanatismo e di imbarbarimento, fino alla selvaggia persecuzione dei cristiani».
Eccoci verso la conclusione: «Farci, ciascuno di noi, partecipi di un sentimento di solidarietà e di un impegno globale - sconfiggendo l'insidia dell'indifferenza - per fermare queste regressioni e degenerazioni, è un comandamento morale ineludibile. E forse, facendoci lucidamente carico di quanto sta sconvolgendo il mondo, potremo collocare nella loro dimensione effettiva i nostri problemi e conflitti interni, di carattere politico e sociale; potremo superare l'orizzonte limitato, ristretto in cui rischiamo di chiuderci».
E la fine del discorso è chiara: «Mettiamocela dunque tutta, con passione, combattività e spirito di sacrificio. Ciascuno faccia la sua parte al meglio. Io stesso ci proverò, nei limiti delle mie forze e dei miei nuovi doveri, una volta concluso il mio servizio alla Presidenza della Repubblica, dopo essermi impegnato per contribuire al massimo di continuità e operosità costituzionale durante il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione Europea. Resterò vicino al cimento e agli sforzi dell'Italia e degli italiani...».
Discorso serio e dignitoso di chi ha deciso di andarsene per la consapevolezza delle forze declinanti, senza paura di dire che il peso degli anni implica la necessità di passare il testimone. Non sarà facile, ma milito fra chi ritiene che si possa trovare nella politica una figura seria, competente e libera per il Quirinale. Sapendo quanto sia utile che sia contraltare ai rischi di eccesso di potere di Palazzo Chigi.

Un accordo intergenerazionale

Anziani e giovani coesistonoBisogna pensare a come affrontare tante cose e l'inizio dell'anno serve a questo. Finiti brindisi, lustrini e cotillons tocca profittare del momento psicologico di riflessione sul da farsi. Bisogna combattere i rischi del giorno per giorno, della politica usa e getta e dell'amministrazione che segue disegni troppo spesso oscuri (il "pecunia non olet" va combattuto con decisione e non basta inasprire le pene).
Giorgio Napolitano ammette di perdere qualche colpo alla veneranda età di novant'anni ed io conosco giovanissimi che non gli arrivano al malleolo. L'altro giorno, per gli auguri di Natale, ho incontrato César Dujany, classe 1920, che analizza con rara lucidità la situazione valdostana, ma in un quadro cui non sfuggono mai i problemi del mondo.
A commento, mi è piaciuta molto un commento da parte di un antico amico della Valle d'Aosta. «Se siamo d'accordo sul fatto che la mente conta più dell'anagrafe, i ruoli di responsabilità possono sicuramente essere mantenuti fino in età avanzata. Anzi, io sostengo che l'anziano ha il diritto di avere doveri e responsabilità, perché sono questi i principali stimoli per mantenere attivo il cervello». Lo ha detto il professor Umberto Veronesi, coetaneo di Napolitano, intervistato da "Qn" sulla scelta, pure spiegata direttamente nel messaggio agli italiani, del Presidente della Repubblica di lasciare il suo incarico.
Fra i diversi patti da stipulare per il futuro della Valle d'Aosta, ma vale per tutto l'Occidente sviluppato, questo è un punto centrale. Si tratta, infatti, di applicare alla nostra società una qualche forma di accordo intergenerazionale.
Non si tratta di un esercizio retorico o sentimentale, ma di affrontare un problema serio: la vita umana per fortuna si allunga, ma questa prospettiva si incrocia con una diminuzione degli spazi dello Stato Sociale e della possibilità che la spesa pubblica "copra" in tutto e per tutto quanto si rende necessario per una vecchiaia serena, sapendo che più ci si avventura in là e più certi problemi aumentano. In parallelo i giovani diventano minoranza, su cui grava il futuro, ma ci sono troppe evidenze di forme di incertezze e precariato per le nuove generazioni.
Rischia fra gli uni e gli altri di aprirsi una forbice fatta di incomprensioni. Al "nuovismo" rottamatore, che appare come una malattia infantile, rischia di contrapporsi un "vecchismo" egoista, altrettanto patologico. Per altro, deve funzionare il meccanismo del passaggio di testimone fra vecchi e giovani e il mix giusto resta sempre quello che mette assieme esperienza e innovazione. Ma non può essere concepito come una guerra di trincea e una sorta di incomunicabilità.
Un caso di scuola è nell'incipit di una notizia data da "La Repubblica" ieri sera: "Nel 2007 il tasso di occupazione tra gli "over 55" era al 34,2 per cento, mentre oggi siamo saliti quasi al 47 per cento. Di contro, nella fascia tra 25 e 34 anni si sono persi oltre undici punti percentuali di occupazione fino al 59,1 per cento: significa un milione e 600mila ragazzi in meno. Italia quarta in Europa per perdita di occupazione tra i più giovani".
Va detto, però, che, in mezzo, ci sta la riforma pensionistica e il fatto che non si può far retorica sui giovani e cambiare, spostandoli più in là, i requisiti dell'età. Così com'è difficile pensare che certe scelte al ribasso sul fronte delle tutele contrattuali servano ai giovani per avere maggiori certezze. Poi, per carità, nel nome della crisi e del "Patto di stabilità" si può fare ormai tutto e il suo contrario, ma il rischio è che - fra i vari scenari - "salti" sempre più il rapporto fra generazioni.
Temi non facili, ma che vanno messi assieme in un disegno che non sia fatto a spizzichi e bocconi, almeno laddove - finché dura - la politica di prossimità dell'autonomia speciale dovrebbe (ma oggi il condizionale è d'obbligo) consentire di fare scelte nuove e coraggiose.

Mutua e assenteismo

Un Vigile urbano di RomaTocca di tanto in tanto seguire il flusso di notizie, sapendo che ci sono argomenti che sono come i fiumi carsici, che spariscono sotto terra e poi riappaiono con clamore e si impadroniscono della scena per qualche giorno, per poi finire nel dimenticatoio.
"Mettersi in mutua". L'espressione è antica e ormai, per l'abuso di quella che si chiama più propriamente "indennità di malattia", il termine rischia di diventare sgradevole. Il casus belli di queste ore è l'assenteismo, nelle pieghe delle norme, dei Vigili urbani di Roma, ma emergono a questo punto dati vari, più o meno impressionanti, sull'uso distorto e persino truffaldino del diritto. Ho visto in televisione un sindacalista dei "Pizzardoni" (così si chiamano i membri della Polizia municipale romana, perché, partendo da un tipo di beccaccia, la "pizzarda", così venne chiamata la feluca a due punte portata dalle guardie municipali nel XVIII secolo), che in una democrazia normale dovrebbe essere preso a calci nel sedere, quando difende l'indifendibile e sostiene che i Vigili urbani romani sono i più efficienti d'Europa. Bum!
Diciamoci la verità: ognuno di noi conosce abusatori professionisti che ledono con il loro comportamento un principio importante con un legame luciferino con il medico curante. Su questo non ci può essere accettazione, pur rendendomi conto che non è sempre facile, del comportamento di certi medici, che diventano dei "bancomat" dei certificati. Ordine professionale - se ci sei e servi a qualcosa - batti un colpo!
Questi comportamenti paziente-medico gettano discredito verso una parola che aveva una sua nobiltà, derivando dalla parola "mutuo" (comune, reciproco), che deriva dal latino "mutŭus - dato in prestito, scambievole, reciproco". E' il termine "mùtua" risale non a caso al 1869, da "cassa, società mutua", quando i lavoratori - ci sono esempi storici anche in Valle d'Aosta - si unirono, in una logica appunto mutualistica, per organizzare sistemi di tutela di fronte alle malattie, agli incidenti, alla morte e per creare altri meccanismi previdenziali.
Oggi la parola viene così descritta dalla "Treccani": "Con significato più ristretto, nell'uso comune ogni istituzione che gestisce le assicurazioni sociali, soprattutto per ciò che riguarda l'assistenza contro le malattie, a favore di lavoratori dipendenti o anche privati (istituzione oggi in gran parte confluite in un unico organismo, il "Servizio sanitario nazionale", dal quale dipendono i diversi organi periferici, le cosiddette "Usl", o "Unità sanitarie locali", successivamente trasformate in "Asl", o "Aziende sanitarie locali"). Di qui l'origine di espressioni largamente diffuse e in gran parte persistenti nell'uso anche se non più attuali: iscriversi alla mutua, avere la mutua, iscriversi o essere iscritto in un istituto previdenziale e goderne i benefici; mettersi in mutua (in passato, mettersi in "cassa malattia"), farsi riconoscere, con dichiarazione del sanitario di una mutua, malato e temporaneamente inabile al lavoro; un intervento pagato dalla mutua, cioè dal "Servizio sanitario nazionale"; medico della mutua, medico che presta la sua opera in un ente assistenziale (e che ora ha ripreso il vecchio nome di "medico di famiglia")".
Non si tratta, dunque, né di generalizzare ingiustamente né di montare una "caccia alle streghe" (Renato Brunetta, da ministro della Funzione pubblica, aveva imboccato questa strada, ma qualche risultato era pure arrivato contro i furbetti), ma non si può neppure far finta di niente con chi abusa di un diritto e pianifica la propria vita con l'aiutino di assenze immotivate.
Perché il rischio di questi tempi di decisionismo a furor di popolo è quello già visto: buttar via il bambino con il pannolino (che mi sembra meglio dell'acqua sporca...).

Sepolti dagli oroscopi

Bilancia automatica che pesa e fa l'oroscopoFra le cose da buttare via, perché inutili in questo periodo dell'anno come previsto dalla scaramanzia (cui, per altro, non credo, come si capirà), ci sono senza dubbio gli oroscopi. In questi giorni, tutti i mezzi di informazione si sentono in dovere di proporre le previsione astrologiche per il 2015 ed esiste anche - evidentemente perché il mercato la richiede - una stampa specializzata. Assieme ai primi nati dopo la Mezzanotte, ai riassunti sui fatti dell'anno appena trascorso e all'elenco dei buoni propositi, ecco - segno zodiacale per segno zodiacale e proposti in tutte le salse - gli oroscopi.
Conosco l'obiezione: «Ma, alla fine, li leggi o no?». Se li trovo li leggo e, in questi giorni, più casalinghi, ho avuto modo di divertirmi negli aspetti comparativi. Gli astrologi non fanno "cartello", nel senso che sembra non valere quella logica tra imprese operanti nello stesso settore per fissare i prezzi delle merci vendute, in maniera da annullare la concorrenza. In questo caso non sarebbero i "prezzi" (anche se gli astrologi guadagnano bene, lucrando sulla credulità popolare) a prevedere un accordo, ma il buonsenso di coordinarsi per grandi linee su che cosa capiti a ciascun segno, traendolo dall'analisi di quel cielo che in realtà non esiste, trattandosi di un'invenzione vera e propria. Scelta che sarebbe innocua se non ci fosse chi su certe previsioni basa la propria vita.
E' stata Margherita Hack, astrofisica, a scrivere in funzione antibufala: «In antico, le parole "astronomia" ed "astrologia" erano intercambiabili. La distinzione si fece via via sempre più netta, quando si prese a distinguere fra lo studio e le previsioni dei fenomeni naturali, compito dell'astronomia propriamente detta, e l'astrologia "giudiziaria": quella, cioè, che formula giudizi sulle persone e ne predice le sorti e il destino. Questo avvenne verso la fine del 1300. Fu da allora, che, dopo una maturazione di secoli, e per un complesso di ragioni che andavano da quelle filosofiche e religiose alle scientifiche ed economiche, si diffuse una rivoluzione culturale che sconvolse proprio il cielo e la terra. E neppure è un caso, se ebbe per maggiori protagonisti Copernico e Galileo, un prete e un laico: entrambi, credenti sinceri, ma sovvertitori, loro malgrado, di un vecchio ordine e tenaci costruttori di un nuovo, non più dominato da cause occulte e da influenze soprannaturali. Il primo, col mettere il Sole al centro del sistema planetario, rispondeva ad una esigenza semplificatrice, soddisfacendo anche meglio ad un diffuso sentimento platonico che vedeva nel Sole l'immagine di Dio. Il secondo, mentre introduceva un metodo di misura e precisione per leggere la natura come un libro non meno sacro della Bibbia, scopriva col cannocchiale dei mondi insospettati, e quasi una nuova rivelazione divina. E vero che con questo nuovo metodo teorico-sperimentale, e con tali scoperte, si finiva per smantellare un plurisecolare edificio, fondato tanto sul sentimento religioso quanto sul senso comune. E si arrivava a sloggiare il Paradiso e l'Inferno, dove una folla di Angeli, Diavoli e tutti gli uomini avevano (o avrebbero avuto) una loro ben ordinata e definitiva dimora. Ma se questo poteva turbare la coscienza popolare e mettere in difficoltà i teologi e il potere della Chiesa e dei principi, d'altra parte la maniera galileiana e newtoniana di fare scienza si dimostrava non meno razionale di quella precedente, e soprattutto così feconda di risultati, che era impossibile che la vecchia struttura non rovinasse con tutto quel che conteneva, compresa l'astrologia. Come si potevano paragonare le sue discutibili previsioni, con quelle calcolate mediante la teoria della gravitazione? Quale astrologo poteva anticipare, come fece Halley, il ritorno della cometa che porta il suo nome? Oppure, dalle perturbazioni osservate in alcuni pianeti, dedurre la presenza di altri corpi e scoprirli proprio dove gli astronomi indicavano?».
Insomma, la scienza si afferma sulle balle. E conclude: «Eccoci, dunque, arrivati al tema dell'odierna diffusione della astrologia, la quale, secondo le statistiche, conterebbe, soltanto negli Stati Uniti, oltre trenta milioni di credenti; e in tutto il mondo sarebbe la religione più diffusa, sebbene lasci quasi indenni le classi colte, specie quelle di formazione scientifica. Succederà come nel III e II secolo a.C. quando l'antirazionalismo si diffuse irresistibilmente dal basso verso l'alto, e l'astrologia conquistò le classi colte? Secondo noi è impossibile, anche se tutti sentono il bisogno di una religiosità più unificante e comprensiva, e nei cieli ad alcuni sembri di riudire il "brusio degli angeli". (...) E allora quale conclusione trarre sull'astrologia? Risponderemo, anzi ripeteremo, che se fino a Copernico e Galileo era come un astro luminoso che non tramontava mai, dopo la rivoluzione scientifica è esplosa in mille pezzi, e ora ci appare come una di quelle comete che periodicamente visitano la Terra. Sono belle come l'astrologia, ma anche "fatte di niente" come l'astrologia. Sicché, almeno agli occhi della scienza, la gloriosa, millenaria avventura dell'astrologia è terminata in un "disastro": attributo di derivazione astrologica, dal greco "Dys-Astèr = cattiva stella"».
Il proibizionismo non è una scelta credibile, ma meno oroscopi in giro sarebbero solo segno di buonsenso. Poi se uno vuole crogiolarsi nelle speranze, fatti suoi.

Il "Med" ai cinesi, smacco ai francesi

Andrea BonomiBisogna rassegnarsi: tutto cambia. Vale per le cose importanti, figurarsi per gli elementi di complemento, che pure hanno fatto parte integrante della tua vita. Cito un caso che mi incuriosisce in questo periodo, perché mi ricorda alcune vacanze indimenticabili nell'arco di almeno trentacinque anni.
Ho seguito il clamoroso braccio di ferro fra una gruppo cinese (in connessione con i vertici attuali della società) ed una cordata guidata dal finanziere italiano Andrea Bonomi, la "Global Resorts", per il controllo del "Club Mediterranée", club per le vacanze sinora vanto transalpino. Hanno vinto i cinesi, offrendo una cifra astronomica.
Così Bonomi e soci hanno deciso di "non procedere a un incremento del prezzo" dell'Opa su "Club Med" e cederanno le loro azioni nella società. Difatti il comunicato di Bonomi è sferzante: "Global Resorts è soddisfatta che sia stata raggiunta una superiore valutazione a favore degli azionisti di minoranza e augura alla società e ai suoi dipendenti un florido futuro".
Marie Heuclin della "Agenzia France Presse" così esprime lo stato d'animo di larga parte dei francesi: "Tournant un peu plus le dos à ses racines populaires, le "Club Med" entend accentuer, désormais sous l'égide du groupe chinois "Fosun", son grand virage vers l'internationalisation et le haut de gamme, une stratégie encore peu concluante et qui se cherche un nouveau souffle".
La collega francese non le manda a dire: "Cette ligne est "la seule possible" pour assurer l'avenir du "Club Méditerranée", qui fête ses 65 ans cette année, juge d'ailleurs Henri Giscard d'Estaing, devenu son "Pdg" en 2002. Ses mots d'ordre: poursuivre la montée en gamme des villages vacances du "Club Med" et viser les nouveaux marchés prometteurs du tourisme, Chine en tête, où une classe aisée avide de vacances a émergé. Avec 1,2 milliard d'euros d'investissements en douze ans, les résultats ne sont pas vraiment au rendez-vous. En 2014, l'entreprise a essuyé une deuxième année consécutive de perte nette (12 millions d'euros), après des millésimes 2011 et 2012 légèrement dans le vert".
Insomma: per ora la strategia confermata con la "vittoria" dei cinesi non ha funzionato, ma si prosegue su quella strada rischiosa. E il Med "cinesizzato" come sarà? Scrive Heuclin: "Le "Club Med", "marque mythique du tourisme" français comme l'écrit Jean-Jacques Manceau, dans "Club Med, réinventer le rêve" (Editions Perrin, 2010), va donc confirmer sous l'égide de "Fosun", sa volonté de définitivement tourner la page du club de vacances populaire où les "gentils organisateurs" tutoient non pas les clients, mais les "gentils membres". Aux oubliettes aussi l'image ringardisée des villages vacances véhiculée par le film "Les Bronzés" en 1978. A l'époque, le "Club Med" vit pourtant une période faste, ses villages parsèment la côte méditerranéenne, Tahiti, tout comme les montagnes européennes, défendent une idée démocratisée des vacances, portée par la famille Trigano (Gilbert, puis son fils Serge) qui tient le "Trident" de 1963 à 1997. On est loin cependant des tentes des débuts et du statut associatif défendu par Gérard Blitz lorsqu'il lance le "Club Méditerranée" en 1950".
Segue la storia del Club, che ebbe pure la famiglia Agnelli come azionista importante. Ricordo che il "Med" ha un Club, ormai scarsamente valorizzato, al Breuil-Cervinia.
Per Michel Braquet, un sindacalista dei lavoratori del "Med": "L'esprit GO, de partage et de convivialité, est menacé par cette opération stratégique tournée vers les Chinois, qui risquent de faire du "Club Med" un tour operator, un hôtel comme un autre".
Anche la magia del "Med" rischia di scomparire, ma i ricordi resteranno...

Il problema

Ad Aosta si rimuove l'albero di Natale"L'Epifania tutte le feste si porta via". Non resta che rassegnarsi alla circostanza, pur con qualche magone. Ho sempre detto che il Natale ha una piccola parte di fregatura: parte da distante e poi si spegne in poco tempo. Si resta, in seguito, storditi dalle libagioni, a cavallo fra il vecchio e il nuovo anno e infine ci si trova in un batter d'occhio con i soliti problemi di fronte.
E' vero che tutto è relativo: già nei prossimi giorni iniziano annunci e preparativi per i Carnevali e con le due fiere di Gennaio, la "Sant'Orso" di Donnas e di Aosta, si saluta - perché dietro le spalle - la parte più buia dell'inverno. Seguirà Pasqua, quest'anno il 5 aprile, a dare il segno del ciclo dell'anno, che ha tappe certe e rassicuranti nella vita altrimenti così piena di sorprese buone e cattive.
Dicevo dei problemi. Il mio principale rovello è questa storia della soppressione della Valle d'Aosta. Chi minimizza dovrebbe pensare che fidarsi è bene e non fidarsi è meglio. Un blitz su norme costituzionali non è facile, ma neppure impossibile. Il terreno sulla inutilità delle autonomie speciali è stato ampiamente dissodato da un lavorio decennale. Agli ostacoli frapposti da Roma alla specialità sin dagli esordi, si è sommata una campagna vasta, martellante e pluralista, che oggi si concretizza nell'idea della soppressione tout court nel nome del risparmio e contro i privilegi. Le ultime vicende sembrano far intendere che la pera sia matura per cadere dall'albero. Non si tratta, dunque, di fare allarmismo o praticare il giochino della casa che prende fuoco per atteggiarsi a gran pompieri, ma di segnalare che si è aperto un bivio e se si imbocca la strada sbagliata si va finire fino in fondo, precipitevolissimevolmente. E' più facile distruggere che costruire.
Per cui, almeno per quel mi riguarda, l'idea di subire un'eutanasia senza consenso mi fa venire i brividi, oltre all'ovvia constatazione che chi ci vuole morti non offre alcuna alternativa alla sepoltura macroregionale, oltretutto in un clima di riforma costituzionale, che già tritura il regionalismo esistente con uno Stato scalcagnato che si atteggia a supereroe.
Cosa diventerebbe la Valle d'Aosta senza autonomia speciale e addirittura spogliata del suo ruolo di Regione? Non si capisce bene, direi a naso un pezzettino dell'area metropolitana di Torino con rari uffici pubblici e l'impiego pubblico locale destinato chissà dove (ma ormai avanza l'ipotesi di licenziamenti motivati...).
Il welfare valdostano sparirebbe d'incanto e se guardiamo ad altre zone alpine "annegate" nelle Regioni a Statuto ordinario la comparazione offre delle piste. Qualche esempio? Sarebbe la fine dei Comuni costretti alla fusione dalla legislazione nazionale. Sparirebbero d'incanto l'ospedale ed il Tribunale, così come tutte le strutture regionali e statali. I trasporti peggiorerebbero ancora, ad esempio quelli su gomma, compreso il meritevole servizio per i disabili. Basta scuole decentrate o di montagna. Tutto si concentrerebbe su Aosta. Sparirebbe ogni ruolo regionale in risorse fondamentali come l'energia idroelettrica o gli impianti di risalita o l'istruzione universitaria. Fine dei fondi comunitari dedicati e pure della rappresentanza parlamentare, garantita dallo Statuto. Il museo degli orrori potrebbe arricchirsi con decine e decine di altri esempi. Diffidare di chi finge che cambierebbe pochissimo: sono "pifferai magici" che vogliono portare i valdostani verso il baratro.
Per cui, al momento, questo è diventato il problema.

L'orrore nel cuore di Parigi

Je suis CharlieL'attentato di oggi a Parigi al giornale satirico "Charlie Hebdo" è terribile. Lo è non solo per le conseguenze sanguinose dell'atto barbarico e per l'aspetto simbolico contro la libertà d'informazione di un giornale che ha pubblicato vignette contro l'Islam integralista (ma ha preso in giro spesso il cristianesimo), ma perché questo attacco militare di due militanti islamisti avviene nel cuore di una città europea, in un momento in cui in Europa cresce l'irrazionale senso di reazione, spesso senza i necessari distinguo, verso il mondo islamico.
Pensate al fatto che proprio oggi esce nelle librerie il nuovo libro del romanziere francese Michel Houellebecq, intitolato "Soumission".

La maledizione dell'integralismo

I due terroristi durante l'assaltoLi troveranno Chérif e Said Kouachi, i due fratelli francesi di origine algerina autori della strage al giornale "Charlie Hebdo", ieri mattina a Parigi. Già nella notte pareva che il loro arresto fosse imminente e i "social" ribollivano di anticipazioni fasulle. Non sfuggiranno all'apparato di polizia che li bracca e pagheranno per quei loro delitti compiuti in preda al loro delirio di distruzione.
Gli integralismi religiosi fanno paura. L'attentato di ieri a Parigi, come le Torri Gemelle nel 2001 a New York, assumono un valore esemplare di un problema irrisolto. L'islamismo radicale si crogiola in una visione violenta e irrazionale, che non è fuori dai nostri confini, ma ormai nel cuore dell'Occidente, penetrando nella testa di giovani islamici, che svoltano verso il Male e questo avviene pure - ed è il profilo degli assassini - in neo-convertiti che scelgono l'Islam tagliando le proprie radici (e poi mozzano le teste come se nulla fosse...).

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