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26 dic 2012

La politica e le sue incertezze

di Luciano Caveri

Fa strano per chi fa politica e si trovi alla fine del proprio mandato non sapere bene che cosa avverrà dopo. Credo che sia una sensazione unica che ho vissuto tutte le volte in cui - eccettuata la prima in cui tutto era nuovo - mi sono ripresentato al giudizio degli elettori prima per la Camera, poi per il Parlamento europeo e infine per il Consiglio Valle. Tra sei mesi non so se ricoprirò o meno qualche ruolo elettivo, dopo tanti anni che lo faccio in compiti diversi. Niente di straordinario - intendiamoci - perché lo stato d'animo sano in politica sta proprio nel considerare la precarietà come un elemento normale e la possibilità di uscire di scena una variante ordinaria che rientra nelle regole democratiche. Niente di peggio di quelli che sembrano attaccati alla sedia con la colla e finiscono per vivere una vita solo fatta di ricordi di quando facevano politica.

Questa riflessione per un'attività che prevede - mai mi stancherò di ripeterlo - un elevato livello di professionalizzazione sia nella politica vera e propria sia se si è chiamati ad attività più propriamente amministrative. Chi è ignorante delle regole e delle procedure e non studia abbastanza fa una figura meschina e danneggia la comunità che dovrebbe rappresentare. Colpa degli elettori che talvolta votano per simpatia dei somari e dei partiti che mettono in lista anche persone prive di requisiti elementari e che nulla hanno a che fare meccanicamente con titoli di studio o professioni. Lo preciso per evitare che la mia appaia una visione elitaria e classista di una politica che dev'essere invece largamente rappresentativa. Nella mia lunga carriera ho trovato colleghi abili e pieni di buonsenso di qualunque provenienza o livello culturale, ma la distinzione stava nell'impegno, nella voglia di approfondire, nello spirito di osservazione e di intuizione. Poco conta che fossero "conosciuti" (e di famosi ne ho conosciuti tanti) o semplici "peones", cioè politici poco noti ma indispensabili per il funzionamento complessivo della macchina dei partiti e delle istituzioni. Certo il grado di incertezza per il mio futuro ora si accentua per il fatto che, sfidando il fatto che invecchiando si diventa conservatori e si aborriscono novità troppo repentine, ho lasciato il mio partito e non rinnoverò la mia iscrizione all'Union Valdôtaine. Naturalmente questo non fa venir meno le idee e i valori che mi avevano fatto aderire, semmai ritengo che purtroppo a tradire non sia io che me ne vado, ma chi mi ha costretto a farlo perché certi comportamenti e determinate scelte mi facevano sentire male. Per cui considerò coerente la mia decisione e sono io a sentirmi tradito da chi sta svendendo l'Union, diventato un partito ad personam ed interprete di un'azione amministrativa verticistica e non più corrispondente alle necessità di una politica seria e senza macchie. Io mi sento dispiaciuto ma sereno e - assieme ai miei compagni di strada, forte di un appoggio di tanti che ho visto e mi hanno scritto in giorni - mi impegnerò per portare avanti diversamente quello in cui ho sempre creduto: il bene della Valle d'Aosta. Certi veleni già messi in circolo in queste ore fanno parte del prezzo da pagare e dunque non mi preoccupo. Poi quel che verrà verrà.