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10 ago 2014

Prati e falci

di Luciano Caveri

Quando ero piccolo, attorno a casa mia a Verrès, c'erano tanti prati, prima che il "consumo del suolo" per l'edilizia li riducesse al lumicino. Esiste anche in Valle un fenomeno alla "ragazzi della via Gluck" e cioè eccessi di cementificazione ed è bene rifletterci nei piani regolatori dei Comuni, il cui aggiornamento sta viaggiando alla velocità del mezzo agricolo per eccellenza, l'"Ape Piaggio"... Un passaggio di stagione era quando arrivavano i contadini a "fare i fieni": tutto con la forza delle braccia e delle falci e con la realizzazione delle balle "artigianali". Ci sono gesti antichi, ritmici e eleganti nello stesso tempo, ormai spariti con la meccanizzazione, come appunto è il caso dello sfalcio manuale, ma lo era anche l'uso complementare della pietra per mantenere affilata la lama e dei forconi per girare il fieno. La canottiera non era l'uso popolaresco "alla Bossi", ma l'indumento igienico per chi lavorava volentieri sotto il sole, visto che la pioggia è la grande nemica della fienagione. Ci penso tutte le volte - e mi torna alle narici il profumo del fieno tagliato coi fiori annessi - in cui vedo, oggi con l'uso del trattore, le famiglie impegnate nei prati. E ci pensavo anche, giorni fa, quando lungo la Valle d'Ayas ho visto, tra Brusson e Ayas, molti prati con l'erba alta e ormai secca, perché non sfalciati. Forse mi sono perso, per mia distrazione, qualche puntata, ma il fatto mi ha incuriosito, pensando come ci siano grandi stalle nella zona e come il fieno autoctono dovrebbe - uso già da solo il condizionale - essere l'alimento per le bovine a vantaggio del latte per la "Fontina", nel rispetto del disciplinare del formaggio "dop". Probabilmente la mia è una visione superficiale rispetto a chi conosce meglio di me l'evoluzione del mondo agricolo. Noto, tuttavia, come in tutte le Alpi, sia nei Paesi comunitari che nella solita Svizzera, il dibattito sul futuro dell'agricoltura incombe. In apparenza la "Pac", la politica agricola comunitaria, sembra confermare l'esistenza di un capitolo di tutela per la montagna, ma certo elementi inquietanti ci sono con la crescente incidenza del principio insidioso della concorrenza e scelte, ad esempio la fine delle quote latte, che vanno esattamente nella direzione del solito braccio di ferro fra Pianura e Montagna. Peserà sempre più, anche in questo senso, la burocratizzazione, che incombe malgrado tutte le promesse dell'Europa di semplificare, mentre la triste conferma è che si complicheranno anche gli affari semplici. In Valle d'Aosta aggiungiamo che gli esiti dei tagli alla finanza regionale peseranno malamente sull'intero comparto, che sarà pure stato abituato all'abbondanza, ma il passaggio brusco all'austerità rischia di lasciare morti e feriti. Soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni regionali c'è stato chi ha raccontato "balle spaziali" per raccattare voti ed ora è venuto il tempo per molti delle disillusioni. Con il paradosso che chi prometteva mari e monti ora invoca il mercato e invita «a tirarsi su le maniche», anche a chi è rimasto già in mutande per la crisi. Quei prati ingialliti e stopposi sono un segno negativo, comunque la si veda, che sia un discorso produttivo o anche paesaggistico. Non si tratta di immaginare che tutto debba essere una cartolina artificiosa "alla Heidi", ma chi attraversi certe zone dell'Austria e della Svizzera si accorge con un colpo d'occhio di come ad uno sfruttamento razionale delle risorse agricole corrisponda proprio un paesaggio ordinato e pulito, che dà delle Alpi un'immagine straordinaria per chi ci abita e, naturalmente, per i turisti.