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25 nov 2014

L'astensionismo come primo partito

di Luciano Caveri

Ogni elezione ha una sua storia, come nel caso di quelle di ieri per le Regioni Emilia-Romagna e Calabria. Ma di certo, a legare ogni competizione elettorale, c'è un "fil rouge" che riguarda non solo il risultato delle elezioni, ma anche lo stato d'animo degli elettori. Quel che emerge dal test elettorale di ieri è, a mio avviso, un crescente fossato che divide la politica dai cittadini. Lo dimostra il tasso incredibile di astensionismo, specie in una Regione "rossa" come l'Emilia-Romagna, dove il senso civico e l'oliata macchina del vecchio "Pci" avevano sempre spinto i cittadini alla partecipazione. In Calabria il calo si accompagna anche alla sfiducia di un cambiamento che non arriva mai e la 'ndrangheta sta bene in salute.

Perché la gente non vota? Non ci vorrebbe molto a mettere in piedi uno studio corposo: il fenomeno del "non voto" è sotto esame da quando esiste il suffragio universale, ma l'emorragia di chi non va alle urne cresce sempre di più e i votanti sono diventati minoranza. Oggi sui giornali i commenti sono, come sempre, visti da angolature diverse, come è giusto che sia e scorrendo gli editoriali si può verificare il fenomeno molto umano di come la medesima cosa possa essere vista in modo diametralmente opposto. Io penso che allo zoccolo duro di chi ormai non vota da molti si siano aggiunti quelli che oggi non capiscono dove voglia andare la politica. In particolare credo che il crollo di Forza Italia (cui la Lega ha rubato voti a man bassa, dopo aver scelto di essere molto a destra) sia il segno della stanchezza per la leadership ormai svaporata di Silvio Berlusconi ed anche una punizione per il continuo e ambiguo flirt con Matteo Renzi, sancito con il famoso "Patto del Nazareno". Renzi, invece, vince in entrambe le Regioni (ma in Calabria il presidente non è renziano), ma perde votanti anche lui per l'abbraccio con Berlusconi e anche per le sue battaglie in tutte le direzioni, come quella con il sindacato. E anche per la mancata corrispondenza, io credo, fra annunci e realtà. Non ci sarà nessuna ammissione su questo punto e anzi ho l'impressione che varrà per cavalcare l'antiregionalismo con la tesi che queste istituzioni sono considerate decotte dallo stesso elettorato... Comunque la si veda, ma ripeto che ci vorrebbe un approfondimento serio, quella che perde colpi è la democrazia con il suo meccanismo partecipativo per eccellenza: il voto. E la sensazione crescente che il voto, alla fine, conti poco, perché poi nel nome delle emergenze si trova sempre una logica consociativa, che rende la politica un territorio grigio. Mentre c'è bisogno di chiarezza e di capire che cosa si sceglie, altrimenti il senso di tradimento per l'elettore si sfoga alla fine anche nella vendetta del "non voto". Così come la scelta di meccanismi elettorali, a favore più dei partiti che dei cittadini (compresa l'elezione diretta dei presidenti di Regione), creano alla fine quelle disillusioni che tengono i cittadini a casa il giorno delle votazioni. Esiste, naturalmente, una responsabilità da parte dell'elettorato: quando nacque l'idea del suffragio universale si era convinti che questa conquista democratica sarebbe stata vissuta da ogni singolo elettore come un obbligo di interessarsi alla "cosa pubblica" e di essere debitamente informato. Oggi esiste una inquietante fascia di "analfabetismo istituzionale" che inquieta e non è colpa solo dei politici se questo avviene. Anche questo lento degradare dei meccanismi democratici deve preoccupare, come avviene con la crisi economica. Ma si reagisce con riforme costituzionali non convincenti e poco discusse, di cui sfugge la reale portata. Che, però, non si tratti di nulla di salvifico e di entusiasmante lo ha dimostrato anche il massiccio astensionismo.