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24 gen 2015

Quella gita a Parigi

di Luciano Caveri

Non sono uno che barbotta e non voglio offendere nessuno. Per cui premetto che il fatto che al Liceo Classico di Aosta sia stato deciso di annullare la gita a Parigi di alcune classi per paura del terrorismo non è certo da trasformare in un caso di Stato e l'episodio può serenamente essere relativizzato. Ma qualche precisazione non è fuori luogo e resta inteso come questo avvenga in senso costruttivo e per eventuali situazioni analoghe che potessero verificarsi. Essendo un rappresentante dei genitori nel Consiglio di classe (e con me il collega Enrico Romagnoli), per dare un minimo di parvenza alla famosa "partecipazione" sarebbe bastata una telefonata per raccogliere utili pareri.

Quella telefonata l'ho fatta poi io, a circolare già distribuita e dunque a scelta già definita, alla Dirigente scolastica, Anna Maria Traversa, che conosco da tanti anni e che si è scusata della dimenticanza. Per altro - in una conversazione con tono molto civile, pur nel confronto di due tesi diverse - mi ha ribadito che alcuni genitori si erano fatti vivi preoccupati e lo stesso valeva per alcuni insegnanti e il corpo docente ha assentito. La gita si farà ai castelli della Loira, dove immagino che il tasso di rischio venga considerato molto basso. Prendo atto, capisco le ragioni, ma penso che la scelta sia sbagliata. E lo è perché ogni gesto di noi adulti, specie per ragazzi che quest'anno diventano maggiorenni (i "coscritti" come diciamo noi "di paese" nel ricordo della leva obbligatoria), si riverbera su di loro e sulle loro certezze e pure sull'opinione che hanno di noi. Per cui sarebbe naturale una circospezione e ovvio anche un loro pieno coinvolgimento in quanto esseri pensanti. I terroristi islamici vogliono farci paura, poi vogliono anche conquistare il mondo ed annientare gli infedeli, ma questo è tema più vasto. Per questo hanno colpito Parigi, come in passato hanno colpito altre città e per questo massacrano i cristiani d'Oriente e rapiscono ragazze e ragazzi in Nigeria. Fare paura senza aver paura - convinti di finire nel loro Paradiso - significa farsi saltare con l'esplosivo o farlo fare a bambine di dieci anni. Vuol dire, come progettavano di fare a Parigi, di aggiungere alla strage al giornale "Charlie Hebdo" la morte dei bambini ebrei di un asilo. Io amo i miei figli e non vorrei mai corressero pericoli inutili, però dico loro: «fate sempre la massima attenzione e aguzzate l'ingegno per non finire nei guai, ma nel nome della libertà non cedete mai alla paura. Si tratterebbe di una vittoria di chi vi odia solo perché siete occidentali». Se la logica fosse quella di stare sereni nella nostra pacifica Valle d'Aosta, «così non ci capita niente», saremmo già in partenza dei perdenti. Avrebbero vinto i terroristi. Ricordo i timori per la cieca "strategia della tensione" della mia giovinezza e gli "anni di piombo" vissuti a Torino, dove avevo cominciato a fare il giornalista. La logica era: vivere! Ricordo poi gli anni del post 11 settembre 2001 con le Torri Gemelle, quando da deputato europeo viaggiavo molto e spesso con qualche retropensiero, ma mai ho rinunciato, pensando che avrei derogato a miei precisi doveri a causa dei fantasmi di morte che degli assassini agitano proprio per avvelenarmi la vita. Nulla di eroico, niente altro che vivere nella normalità, che può diventare talvolta un gesto di ribellione contro chi vuole condizionarti.