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07 ago 2022

Dietro allo stress

di Luciano Caveri

”Sono stressato”. Questa affermazione è oggi una specie di mantra e di questi eccessi vorrei occuparmi. Ma bisogna partire da un assunto: quando una parola, come appunto stress, viene abusata finisce per essere banalizzata e si svilisce la realtà. Un divulgatore senza eguali come Piero Angela, così riassume senza paroloni: ” I medici distinguono due diversi tipi di stress: quello «vitale», di breve durata, che accompagna molte nostre azioni e reazioni, e che fa parte del vivere quotidiano; e lo stress «prolungato», che non si può risolvere con la «lotta» o la «fuga», ma che rimane dentro l'individuo, girando in continuazione nei suoi circuiti cerebrali, senza trovare una via d'uscita. Queste situazioni di perdite di ruolo, o anche di perdite affettive, sono l'anticamera, per certi soggetti predisposti, di forme più o meno gravi di depressione”. Bisogna, insomma, vigilare sulle cose serie e farsi scivolare quanto non è grave e fa parte degli inciampi quotidiani. La storia di stress è interessante dalla solita Treccani. Sarebbe letteralmente «sforzo», un termine inglese che viene sorprendentemente dal francese antico estrece «strettezza, oppressione» (der. del lat. strictus «stretto»), e insieme aferesi (cioè con ma soppressione di una parte iniziale della parola da distress«angoscia, dolore»). Come l’ormai abusata “resilienza” è usata in Fisica per designare lo sforzo nell’interno di un punto di un corpo elastico. Anche in medicina si adopera quando l’organismo reagisce a uno stimolo più o meno violento (stressor) di qualsiasi natura (microbica, tossica, traumatica, termica, emozionale, ecc.). Ma nel suo corrente, come dicevo, è un cocktail spesso non ben definito tra tensione nervosa e affaticamento psicofisico con annessi e connessi. Vien da sorridere a pensare come questa parola abbia sostituito quanto derivava da un pubblicità di un amaro, il Cynar a base di carciofo, pubblicizzato nel Carosello della mia infanzia dall’attore Ernesto Calindri, ripreso seduto ad un tavolino in mezzo al traffico. Lo slogan liberatorio era: “Contro il logorio della vita moderna”. Una parola interessante logorio (consumare con un uso intenso e prolungato), che si affianca ad altri considerati sinonimi come affaticamento, superlavoro, tensione. Fenomeni da tenere sotto controllo in senso soggettivo e con il controllo di chi ci sta vicino, che siano amici e familiari. Ma ogni tanto, anche nella piccola Valle d’Aosta, noto una pericolosa enfatizzazione degli aspetti negativi, delle critiche ossessive, della conflittualità alla ricerca del consenso. Una sorta di stress, che spinge a rotture nel cuore della nostra società È bene rifletterci. Scrive la psicobiologa Anna Oliverio Ferraris: “Stress ricorrenti e stati ansiosi protratti possono disgregare psicologicamente non soltanto l'individuo, ma anche il gruppo e un'intera società che, stretta nella morsa di una negatività protratta può sviluppare fobie, idiosincrasie, forme regredite di emotività e di pensiero sfocianti in manifestazioni distruttive e in veri e propri comportamenti di follia collettiva che si sostituiscono, annullandoli, ai raggiungimenti della ragione, della cultura e dell'organizzazione sociale”. Follia come definizione è forte e in senso più letterario che scientifico - perché non ne ho le competenze - noto un prevalere e anche un enfatizzare le situazione di disagio. Questo disagio che si propaga spesso in una logica superficiale rischia di relativizzare il disagio più forte e più concreto su cui dovrebbero catalizzarsi le attenzioni.