Spiace vedere la Rai Valle d’Aosta avvolta da un crisi profonda.
Quando entrai nella Sede di Aosta nel febbraio del 1980 avevo 21 anni e i due al vertice erano in Redazione un grande professionista come Mario Pogliotti, torinese romanizzato noto anche nel mondo dello spettacolo, e un Direttore, Roberto Costa, milanese partigiano e come giornalista inventore del ”Gazzettino Padano”.
Due giganti che fecero partire la macchina televisiva con maestria, che si aggiungeva alla mitica ”Voix de la Vallée”, nata all’inizio degli anni Sessanta.
Era la conseguenza di una scelta del Parlamento con una legge del 1975 che prevedeva ”un decentramento ideativo e produttivo”, prevedendo una tutela per il francese in Valle d’Aosta nei telegiornali e nella programmazione, oltre alla ritrasmissione di reti francofone.
Molti giovani valdostani entrarono alla Rai fra i tecnici e ci fu nei primi anni una serie di praticanti giornalisti e l’ingresso di giornalisti dopo la chiusura della ”Gazzetta del Popolo”. Per sette anni lavorai con il massimo impegno in uno straordinario clima nascente con la voglia di tutti di tenere alti i valori del servizio pubblico.
Tornai, in un periodo successivo, per una dozzina di anni nel 2009 come Responsabile dei Programmi, dando - io spero - una svolta di qualità in radio e tv, pur con le molte difficoltà di una Rai molto centralistica e con una mediocrità di molti decisori nazionali rispetto agli esordi.
Quando ho lasciato, cinque anni fa, ormai alla vigilia della pensione non pensavo che le cose potessero peggiorare. Invece, problemi di assunzioni promesse ma mai realizzate, la mancanza di un Direttore dopo il pensionamento del titolare, un Capostruttura che vive a Roma, i problemi di concorsi che rendono difficile l’accesso a personale locale che conosca francese e cultura alpina, indispensabili per chi operi in Valle d’Aosta.
Eppure, la Rai ha ormai di fatto - scomparso il mondo delle TV locali - un ruolo informativo incredibile e senza il Telegiornale regionale - unico che per ora regge i colpi - la Valle perderebbe uno strumento insostituibile.
Un malessere profondo percorre la Sede di Aosta e la famosa regionalizzazione della Rai perde terreno e esiste una nebbia attorno all’applicazione della Convenzione Stato-Rai in tema di minoranze linguistiche e ciò vale anche per la Convenzione specifica sul francese per la Valle d’Aosta.
Chi ci lavora stringe i denti e fa il possibile, ma mancano investimenti nel settore tecnico, interlocuzione della Rai con le Istituzioni valdostane, i budget ridotti hanno tagliato la radiofonia e i produttori locali restano impiccati a cifre basse per i loro prodotti, ormai indispensabili per il numero ridicolo di programmisti-registi.
Mi spiace profondamente questo atteggiamento di una Rai allo sbando, che non capisce la grande potenzialità delle Sedi locali, ormai trattate come un’appendice scomoda e non come una grande opportunità rispetto ai competitori.
La Valle d’Aosta potrebbe essere un terreno di sperimentazione, specie di molte innovazioni. Penso all’incrocio con il Web o ad una riflessione su un maggior uso della fibra ottica e pure alla riacquisizione di mezzi per le riprese esterne, che utilizzammo molto agli inizi prima che il mezzo in uso finisse rottamato. Ma anche al maggior spazio per francese prodotto in sede locale e non solo acquistato o scambiato con emittenti d’Oltralpe, per non dire del maggior spazio necessario da dare al francoprovenzale.
Ma la Rai è ormai un interlocutore fantasma e sembra ricalcare un dirigente del passato, che equiparò improvvidamente la Valle d’Aosta al Congo belga. Colonialismo, appunto.
Ricordo quando difesi la sigla della Voix da un direttore nazionale che voleva farla scomparire. Sopprimere quella registrazione fine anni Sessanta del coro di Sant’Orso sarebbe stata una coltellata contro un segno identitario della Sede.