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23 dic 2025

A Natale si è tutti più buoni?

di Luciano Caveri

Sin dalla più tenera infanzia, si viene catechizzati con il modo di dire che “a Natale si è tutti più buoni” e quindi ci si riflette sopra.

E la reazione cambia moltissimo, a seconda dell’età, perché in fondo questa è la vita nelle sue stagioni e si modifica, con i nostri ovvi cambiamenti, anche questa parola ”buono”.

L'etimologia della parola deriva dal latino bonus, che a sua volta proviene da un termine più antico, duonus, con una "d" iniziale che è diventata una "b".

Strane le parole, che cambiano nel parlare e nello scrivere. Ma chi studia l’etimologia torna più indietro ancora e cosa c’è di più affascinante della scoperta.

E così la radice di “buono” è legata al sanscrito div (”splendere") e a dve ("felice"), collegando quindi "buono" a concetti di splendore e divinità.

Avete capito bene: la radice è la stessa che ha dato origine a parole come "dio" (da divonus) e ”giorno" (da dies).

La Treccani così sintetizza nella modernità iquel che intendiamo per "buono”: ”Nel significato più ampio è attribuito a persona, o anche a cosa, concreta o astratta, per affermarne la conformità al bene morale, il possesso delle qualità della propria natura o che rispondono allo scopo cui la persona o la cosa è destinata”.

Ma è ovvio che il ”buono” natalizio ha a che fare con il messaggio cristiano. Anche se il Natale ha anch’esso - come dicevo della radici delle parole - molti simboli e tradizioni eredi diretti delle feste pagane romane, germaniche e celtiche legate al solstizio d’inverno.

La Chiesa stessa, soprattutto dal IV secolo in poi, ha consapevolmente operato questa sostituzione per rendere più facile l’evangelizzazione.

Per questo la radice pagana esiste ed è profonda. Non è un “segreto” né una cosa di cui vergognarsi: è un esempio classico di come il cristianesimo abbia saputo dialogare e trasformare le culture che incontrava nel suo cammino.

La bontà nel messaggio cristiano non è cortesia o buone maniere. È un concetto ben più profondo.

Nel libro della Genesi, dopo ogni atto creativo, si legge che "Dio vide che era cosa buona". Nella bontà cattolica non basta "non fare il male", occorre "fare il bene". La bontà si manifesta in gesti concreti e essere buoni - quanto costa fermezza e coraggio - significa volere il bene dell'altro.

Di conseguenza, in questo periodo, bisognerebbe riconciliarsi, fare la pace con parenti e nemici, aprire il cuore ai poveri. Esiste qualcosa di molto umano nel pensare che questo avvenga - come per certe festività pagane che inneggiavano alla vita - nel buio dell’inverno, proprio quando la luce ritorna, dopo il solstizio d’inverno.

Di questa bontà così profonda si impadronisce tutto il circo natalizio con pubblicità commoventi, canzoni allegre, addobbi luminosi, cene festose, film che si ritrovano. Il filone è facile e ripetitivo: ”dobbiamo essere buoni”. Con una evidente laicizzazione consumistica del messaggio di fede già evocato.

Non mi infilo, come conseguenza, nel distinguo fra bontà e buonismo. Quest’ultimo può diventare una caricatura ideologica della bontà: un atteggiamento di chi con ostentazione vuole apparire buono a ogni costo, soprattutto agli occhi degli altri. Nel 1995 Indro Montanelli, caustico come sempre, scriveva: ”Il buonismo è la caricatura della bontà, è la bontà degli imbecilli”.

In fondo è questo il rischio che deriva dall’”essere buoni” solo nel solco natalizio, se il modo di dire è solo la foglia di fico di ordinari comportamenti opposti.