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26 dic 2025

Santo Stefano, il giorno dopo

di Luciano Caveri

L’indomani del Natale è un pochino di smarrimento.Mi ha sempre colpito un certo senso di vuoto. Come se fosse una straordinaria bolla di sapone che si gonfia di straordinaria attesa e poi “puf!” scoppia d’improvviso.

Santo Stefano, - giornata festiva di oggi - diventa perciò una specie di momento di decompressione, senza gli obblighi del giorno precedente.

Strana storia questa festività post natalizia.

Da una parte questo Santo Stefano: una figura centrale del cristianesimo delle origini, venerato come il protomartire, ovvero il primo cristiano ad aver dato la vita per testimoniare la propria fede in Gesù Cristo.

Storia interessante, specie per un fatto centrale: alla sua morte per lapidazione assistette e compartecipò Saulo di Tarso, al momento un vero “cacciatore” di cristiani. Successivamente, in una storia avvincente di conversione in cui centrò anche l’assassinio di Stefano, divenne niente altro che San Paolo, personalità essenziale nell’affermazione del cristianesimo. Non è solo un incontro casuale tra un martire e il suo persecutore, ma un vero e proprio passaggio di testimone spirituale che rientra in queste vicende che rendono complesse e piene di allegorie le radici del cristianesimo.

Dall’altra, invece, questa giornata è iniziativa laica, che non c’entra con il Santo. Infatti, la festività in Italia è iniziativa dello Stato, risalente al 1947, per estendere le celebrazioni del Natale, un po' come avviene per il "lunedì dell'Angelo", cioè la "Pasquetta". Anche in altri Paesi europei, ma non in tutti, si è scelto questo prolungamento.

In Irlanda, invece, c’è una tradizione peculiare con la festa denominata in gaelico "Lá Fhéile Stiofán" oppure "Lá an Dreoilín" ("Wren's Day" in inglese). La storia a giustificazione della festa racconta - ovviamente in una rappresentazione favolistica - che il cinguettare di uno scricciolo rivelò ai soldati romani quale fosse il nascondiglio di Santo Stefano, che fu catturato e ucciso.

Per cui gruppi di bimbi girano per le case, indossando vestiti stracciati con i visi colorati e vanno di casa in casa intonando una canzoncina, talvolta accompagnata dal suono di violini, armoniche e corni, che racconta di una gara fra il passerotto e l'aquila per ottenere il titolo di re degli uccelli, vinto con astuzia dallo scricciolo che - sistematosi sul dorso del rapace - spiccò il volo da lì per vincere la sfida.

Questa tradizione risale ad un passato remoto, in cui veniva ucciso uno scricciolo ed il suo corpicino veniva appeso a un ramo di agrifoglio e portato in giro in questa sorta di processione. Oggi l'uccisione dell'uccellino non c'è più, ma al posto dell'animale in questa postura macabra si mette una sua effigie appesa al ramo di un agrifoglio con visita porta a porta da parte dei ragazzini per ottenere cibi, bevande e qualche soldino.

Anche noi - e certo non per caso - per il Natale usiamo l'agrifoglio, che gli antichi Romani usavano durante i "Saturnali", che avvenivano in questo periodo del solstizio invernale, come simbolo della vitalità della Natura per i suoi colori e dunque assumeva una logica di protezione delle case. Anche per i Celti l'agrifoglio aveva un ruolo significativo in pratiche magiche e curative. Nella cristianità l'agrifoglio appare in diverse tradizioni e leggende. Segno che le culture si mischiano fra loro e noi ci troviamo nella difficoltà di districarci nei significati più reconditi. Ma è così per tutte le festività sul calendario in cui nulla si butta nel passaggio fra tradizioni passate e quelle nuove.

Idem per i famosi Re Magi del Presepe, che andrebbero posizionati il 6 gennaio e non prima.

Anni fa, ricordai certe vicissitudini. Nei Vangeli sinottici, quelli "ufficiali", solo quello di Matteo afferma che “Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandarono...”. Il plurale adoperato chiarisce che fossero più di uno, ma senza precisarne il numero e non si dice altro. Qualcosina di più emerge nei Vangeli apocrifi, dove i Magi appunto sono tre e portano i celebri doni: oro, incenso e mirra e spunta la questione della stella cometa che annunciò loro la Natività. E spuntano i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre (quello di colore), anche se i milanesi li chiamavano - a complicare la storia - con i nomi di Rustico, Eleuterio e Dionigio.

Cosa c'entra Milano? Nel 325 dopo Cristo a Costantinopoli, Eustorgio, quando venne nominato vescovo di Milano, ricevette le reliquie dei Magi dall'imperatore Costantino e queste reliquie - improbabili come buona parte dei "resti" dei Santi - furono oggetto nella città meneghina di grande devozione, fino a quando nel 1162 Federico Barbarossa, come bottino di guerra, decise di spostare a Colonia i resti mortali dei Magi. Reliquie che scomparvero dopo i bombardamenti alleati su Colonia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, che investirono anche il duomo della città.

Per la cronaca, per completare Santo Stefano, anche le sue reliquie sono oggetto di devozione e sono sparse in moltissimi luoghi nel mondo cristiano, proprio come accade per tanti santi antichi. Non esiste, insomma, un corpo integro unico conservato in un solo posto: le reliquie sono frammenti ossei, polvere della tomba, pietre della lapidazione e molto altro ancora, il cui numero totale supera la realtà anatomica di un corpo umano a causa di divisioni e proliferazione medievale per soddisfare i fedeli.

Tipo i regali di Natale…