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04 dic 2025

L’Unione europea e il regionalismo

di Luciano Caveri

Nella vita bisogna sempre guardare avanti, ma bisogna anche sufficientemente onesti da ammettere qualche rimpianto.

Ci pensavo, preparando un’intervento sul regionalismo in Europa, nel quadro del sempre interessante Sommet del Grand Continent, quel gruppo di studi geopolitici capitanato da Gilles Gressani, eclettico pensatore dalle radici valdostane. Con lui abbiamo costruito, anni fa, questa presenza annuale, che porta in Valle personalità di rango mondiale.

Dicevo del rimpianto. Dopo 15 anni al Comitato delle Regioni e forte dell’esperienza al Parlamento europeo, avevo imparato come muovermi nel mondo delle Istituzioni e Bruxelles era per me un mondo familiare e sono resto un europeista convinto.

Così convinto da ritenere che l’integrazione europea debba, fra le svolte per non fallire, mai dimenticare la forza della democrazia locale e la ragionevolezza della politica di prossimità.

Se, viceversa, l’Unione europea crescerà ancora nella logica centralistica, allora sarà - come già dicono molti critici - una creatura artificiale.

Prima di accennare a grandi sfide, ricordo come Bruxelles abbia ceduto agli Stati, senza difendere il ruolo attivo e propositivo nella definzione e applicazione del PNRR, che è l'acronimo di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si tratta del piano strategico che l’Italia ha presentato alla Commissione Europea nel 2021 nell’ambito del programma Next Generation EU, il fondo straordinario creato dall’Unione Europea per aiutare i Paesi membri a riprendersi dalla crisi economica causata dalla pandemia di COVID-19, cui si è aggiunta la guerra in Ucraina.

Ora si sta compiendo lo stesso errore con la Politica regionale e quegli interventi vasti fatti di fondi europei che sono indispensabili per la coesione fra Regioni europee e alimentato progettualità decisive per il futuro. La Commissione europea sta assecondando la visione centralistica degli Stati e gli eccessi di dirigismo nell’uso delle risorse comunitarie.

A questo disegno compartecipa l’Italia, come si è già visto sui fondi agricoli ormai nelle mani di Roma, tagliando i rapporti diretti fra Regioni e autorità europee.

Ciò avviene con duplice violazione dei Trattati europei e del principio in essi affermato della sussidiarietà, che obbligherebbe ad implicare Regioni e comunità locali e, nel caso italiano, dei principi costituzionali che affermano, ad esempio, un ruolo disatteso delle Regioni nella formazione della legislazione europea nelle materie di loro competenze.

Invece, decide e statuisce Roma anche per ignavia delle Regioni, che si mostra anche nella assenza di impegno nella fase discendente e applicativa delle direttive comunitarie, che finisce per essere nelle sole mani del Parlamento nazionale.

A livello europeo, lo stesso Comitato delle Regioni, pur pieno di energie e di idee, resta confinato nel limbo dei pareri e non di un reale coinvolgimento nella definizione e applicazione delle politiche europeiste, quando meriterebbe di essere un organo da affiancare al Parlamento europeo in una logica di bicameralismo per le materie di competenza regionale.

Esiste in generale una sorta di sottovalutazione al limitare dell’umiliazione e sarebbe ora che la force de frappe del regionalismo europeo, pur diversificato a seconda degli Stati, protestasse in modo unitario su certo centralismo imperante. Lo si deve fare anche mettendosi assieme nelle euroregioni che possono disegnare geometrie diverse dai soli Stati e le Regioni alpine devo credere in Eusalp, la Macroregione Alpina, che rischia di vivacchiare in mano ai funzionari e non ai politici.

Serve davvero chiedere un maggior ruolo e un maggior ascolto delle Regioni?

Penso che basti un piccolo elenco, non esaustivo, di problemi valdostani che pretendono un ascolto da Bruxelles e un nostro ruolo attivo nelle scelte.

Dobbiamo essere implicati di più nelle politiche per la montagna per avere un direttiva europea sulla materia, il cambiamento climatico non lo si combatte se non partendo dal basso, il futuro del traforo del Monte Bianco e di quelli del Gran San Bernardo è legato alla Rete europee e ascoltare la nostra voce è indispensabile. Cito ancora il tema delicatissimo e decisivo per la Valle delle concessioni idroelettriche e i rischi di gare che sarebbero una follia, pensando alla necessità per l’Europa di una sua sovranità energetica.

Esempi, certo, che si potrebbero moltiplicare e aggiungo solo l’impegno dell’Europa (ma anche noi abbiamo i nostri doveri!) a difesa delle minoranze linguistiche in un’Europa plurilingue e infine la necessità di una cooperazione transfrontaliera che abbatta quel che resta della violenza della Storia riassunta dalla presenza dei confini.

Sono pensieri utili, che fondano la necessità di un’Europa con le radici locali da valorizzare per non essere, in democrazia, un gigante dai piedi di argilla.